NESSUNA MONTAGNA È TROPPO ALTA
La vincitrice della COPPA DEL MONDO DI SCI ci racconta come sogno dopo sogno sia arrivata alla sua vittoria più bella. E come questo virus, che ha conosciuto da molto vicino, possa essere per tutti noi una nuova sfida
Mi chiedo spesso se sono arrivata qui, sulla mia montagna più alta, perché prima l’ho sognato. So di certo che non ho sognato la vetta, ma tutti i piccoli passi che mi hanno portata fino a qui. Non sono cresciuta volendo diventare una campionessa a ogni costo. Nei miei sogni di bambina c’erano anche un negozio di parrucchiera e una carriera da cantante. E c’era sciare, ma nessuno mi ha spinta a trasformare lo sci nella mia vita. Ecco, di una cosa sono sicura: sciare era il mio sogno, e non quello di qualcun altro, come succede a tanti piccoli sportivi. Il fatto che fosse mio, e che fosse un sogno felice, ha fatto la differenza.
E così, di sogno in sogno, sono arrivata in Svezia, dove ho vinto tutto: la Coppa del mondo generale. La prima italiana nella storia, hanno scritto i giornali. Tra gli uomini questa impresa l’aveva fatta Alberto Tomba, uno dei miei miti assoluti.
Quando gareggi lo fai per tanti motivi, ma in particolare per due momenti: quello in cui tagli il traguardo e quello della premiazione. Sono due felicità molto diverse, la prima è di adrenalina, la seconda del cuore. Io la mia premiazione più bella non l’ho mai avuta, perché insieme al mio successo è arrivato anche il coronavirus, che ha cancellato ogni cosa: l’ultima competizione e il podio. Mi hanno comunicato ufficialmente che avevo vinto mentre ero in Svezia, dove avrei dovuto gareggiare, e siamo tornati di corsa tutti a casa.
La Coppa del mondo (ma nel mio caso sono tre, le coppe) è arrivata due settimane dopo, a casa dei miei genitori. Ero così giù, un po’ triste e un po’ arrabbiata, che non sono nemmeno andata a prenderle subito, ci ho messo due giorni a decidermi a salire in macchina e portarle a casa: ci sono voluti tre viaggi, pesano tantissimo. Intanto mia mamma, che era da me, aveva cominciato a stare male: la tosse, la febbre. Ninna (la chiamiamo così, ma si chiama Maria Rosa Quario) è stata anche lei una campionessa di sci: negli anni Ottanta ha gareggiato in Coppa del mondo. Forse è perché siamo sportive, forse per il nostro carattere, comunque siamo due che non si lamentano, né si spaventano facilmente. Non abbiamo avuto paura nemmeno quando, una notte, ho dovuto chiamare l’ambulanza perché non respirava bene, e l’hanno portata all’ospedale di Aosta. Le hanno diagnosticato il Covid-19, ma adesso sta molto meglio ed è tornata a casa sua. Il virus mi ha toccata da vicino, ma non ha cambiato la mia visione del mondo, anzi questa pausa forzata mi ha fatto venire ancora più voglia di fare e di impegnarmi. Spero che stia succedendo a tutti, che possiamo incanalare questa energia in qualcosa di bello. Da anni uso la mia voce e il mio nome per parlare del mare, ho lanciato anche un progetto di sostenibilità ambientale che si chiama Traiettorie Liquide. L’obiezione che mi fanno tutti è che è strano che una sciatrice si occupi del mare. Ma la neve è acqua allo stato solido e poi l’innevamento – e quindi la possibilità di fare ciò che amo – è strettamente connesso al benessere dei mari e degli oceani. Spero, anzi sogno, un nuovo corso in cui la causa ambientale diventi una priorità per ognuno di noi. Perché, come ci ha insegnato questa pandemia, siamo tanti, ma tutti uniti da un filo. E il mondo in cui viviamo ci riguarda tutti e ci chiede rispetto.
«Siamo tanti e tutti uniti da un filo. Il mondo in cui viviamo ci riguarda e ci chiede rispetto»
➺ Tempo di lettura: 3 minuti