Rimandati a settembre
Mentre all’estero si ritorna tra i banchi in sicurezza, da noi si rimanda a settembre. Perché quel che nessuno osa dire è che il rientro a SCUOLA non è previsto, se non digitale
In Danimarca riaprono le scuole. In Francia e Germania quasi. In Italia la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina guarda a settembre e decanta le meraviglie della didattica a distanza. In stand-by 11 milioni di genitori, 8 milioni di studenti e 1 milione di lavoratori del settore che con la scuola online si sono dovuti confrontare in prima persona in queste settimane, non senza accusarne i limiti. Risultato? Mentre nelle chat di classe il clima si fa sempre più teso, la petizione «Prima la Scuola» per il diritto allo studio rivolta alla ministra viaggia alla velocità di migliaia di sottoscrizioni sulla piattaforma Avaaz. Ma la ripresa delle attività produttive non coinciderà comunque con la riapertura dei plessi. Per l’economista Veronica De Romanis si tratta di una scelta obbligata: «Il Paese non si può permettere il lusso di aspettare fino a dopo l’estate per far ripartire il tessuto produttivo o perderà competitività rispetto alle nazioni che allenteranno prima il lockdown. Chi può lavorare da remoto deve essere messo in condizione di continuare a farlo, e bisogna potenziare congedi parentali e voucher baby-sitter per sostenere adeguatamente i lavoratori con figli». Il problema però è che nemmeno a settembre è detto che le scuole tornino alla normalità.
Si parla di un piano che stabilisca standard comuni per la didattica online, dopo l’esperienza fai-da-te delle ultime settimane. «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento, come recita l’articolo 33 della Costituzione, ma libero non significa “ordine sparso”. Vanno fissate regole e parametri di valutazione validi per tutti. E bisogna formare nei mesi estivi il corpo insegnante affinché impari a usare in maniera professionale gli strumenti che la tecnologia offre: le piattaforme online, quando si è capaci di adoperarle, consentono in realtà di rapportarsi con ogni singolo alunno ancora più da vicino», spiega Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale dei dirigenti pubblici e delle alte professionalità della scuola. Meno compiti per gli alunni e di più per gli insegnanti? «Sì, perché finché le condizioni di sicurezza non potranno essere garantite al cento per cento», avvisano i presidi, «aprire le scuole potrebbe essere un boomerang».
Tutto lascia presagire insomma che non sarà una «fase 2» a misura di bambini, mamme e papà. Dopo più di due mesi passati a dividersi tra videolezioni, smart working, compiti e riunioni su Skype, i genitori scalpitano per sapere quali soluzioni proporrà la task force incaricata di pianificare il ritorno a scuola. Quelle più creative, che prevedono turni e streaming, non convincono pienamente i tecnici. «Ma la didattica a distanza, se anche fosse regolata, amplifica le disuguaglianze tra famiglie. Oltre a chi non ha gli strumenti digitali, c’è chi è privo degli strumenti culturali per seguire i figli in tandem con i professori. Senza dimenticare gli alunni con disabilità, che non possono fare a meno della didattica in presenza», avverte la presidente dell’associazione italiana genitori Rosaria D’Anna.