Le transizioni di Pajtim Statovci
La ricerca dell’identità in un’Europa che era l’America: il romanzo di PAJTIM STATOVCI
éla prima cosa che viene notata. L’essere diversi. È come se fosse un reato». È una seduta di analisi su questi nostri tempi singolari il grande romanzo di Pajtim Statovci Le transizioni (Sellerio, pagg. 272, € 16; tr. Nicola Rainò), con questo titolo bellissimo che inquadra alla perfezione quell’oggetto proteiforme che è l’identità umana.
Bujar, il protagonista, è un ragazzo albanese cresciuto in una famiglia che da monolito inizia a sgretolarsi come solo un corpo o una nazione, stritolata dalla politica e quindi dalla povertà, possono fare. Nella vita di Bujar, ci fa capire Statovci, c’è una faglia, il che significa un prima – la gioventù animata dalle leggende del folclore piene di principesse, aquile ed eroi – e un dopo, il tentativo di suicidio come ultima protesta, il contenere dentro di sé moltitudini («perché non puoi essere una donna o un uomo semplicemente dichiarandolo?»), i viaggi (Tirana, l’Italia, Madrid, New York, la Finlandia) che seguono la rotta circolare tracciata da Pamuk quando dice «capii di essere arrivato alla fine della mia esistenza. Ma io volevo soltanto tornare a casa». C’è anche la nostra Europa, che ora ci pare brutta ma che un tempo (e per molti ancora lo è) è stata lA’ merica, cioè «l’avanguardia dell’umanità».
Quello dello scrittore kosovaro trentenne, cresciuto in Finlandia dove i suoi erano sfuggiti alle guerre balcaniche, è il romanzo dell’Europa dei giorni nostri, dove milioni di sé soli si spauriscono dalla voglia di essere noi, e dove l’affanno di chi si ostina a sradicarsi da ciò che è stato è in realtà lo struggimento di essere visti, e visti meglio. Ma se siamo tutti diversi, allora, non siamo tutti uguali?