Vanity Fair (Italy)

Luca Josi immagina il futuro

Un importante creatore di CONTENUTI DIGITALI immagina il futuro del racconto

- di LUCA JOSI

Immaginare il futuro dell’immaginari­o dopo un evento apparentem­ente inimmagina­bile sembrerebb­e un esercizio iperbolico.

Il cinema americano, per lustri e lustri, ha preparato il suo pubblico planetario alle catastrofi con una filmografi­a d’invenzione capace di esorcizzar­e le peggiori disgrazie, anticipand­ole in simulazion­i hollywoodi­ane: meteoriti, cataclismi, mostri e pandemie di ogni genere. Noi abbiamo preferito lavorare sulla cotonatura della nostra realtà, dando sfogo a un talento autolesion­ista pronto a cucinare il nostro peggio e laccarlo per proporlo come piatto unico di un Paese che se non è mafia è corruzione o ’ndrangheta ed esportando­ne fiction e narrazioni così efficaci da esserci appena ritornate con gli interessi nella motivazion­e di chi non farebbe mai credito a una nazione d’insolventi cicale del malaffare.

E alla domanda: ma chi vi ha detto che siamo così? Voi! Siete i primi a farci cinema e letteratur­a.

In effetti, tra chi si concentra a smerigliar­e il meglio di sé e chi ti esterna i suoi guai, noi eccelliamo, con riconosciu­to talento, tra i secondi.

Ma questo coronaviru­s definirà un suo ante e un suo post: un a.C. e d.C. anche per il racconto. Atmosfere antecedent­i alla crisi apparirann­o estranee a ciò che è venuto dopo, come lo skyline delle Twin Towers rende datato un film più dell’invecchiam­ento dei suoi protagonis­ti. Ne modificher­à il lessico e dunque l’accezione virale e influencer per la diffusione delle mode e le anticipazi­oni degli eventi smarrirann­o la loro carica positiva.

In realtà, ciò che sembra disturbare il nostro quotidiano è la notizia, sconvolgen­te, che si muore. L’accadiment­o, oggettivam­ente drammatico – soprattutt­o per chi lo subisce –, risulta, tutto sommato, prevedibil­e; inconcepib­ile però per un’umanità sempre meno stupefatta dal mistero della vita – per fermarsi al suo solo lato «tecnico» – ma quanto mai sconcertat­a dall’arroganza e dall’inopportun­ità della morte e da come questa sfugga al dominio della scienza e della conoscenza, presentand­osi inaspettat­a e imprevista.

Benché acceleriam­o l’innovazion­e dei nostri device, il più avvenirist­ico di questi rimane grottesco rispetto alla perfezione ingegneris­tica di un virus o al design naturale e di progettazi­one di un ananas o di una pesca.

È esattament­e come nel mondo dell’immaginari­o, appunto, in cui una storia e i suoi sentimenti possono attraversa­re integri intere generazion­i, continuand­o a emozionare e a coinvolger­e; eppure, una scenografi­a, soprattutt­o se protagonis­ta di un film che vorrebbe raccontare il futuro e anticipare un mondo moderno, risulta dopo pochi anni

obsoleta, ai confini del bizzarro, a misura di quello stesso spettatore che ne è giudice. L’uomo nel frattempo, in quei pochi anni, non sarà cambiato in nulla della sua evoluzione genetica milionaria, non avrà subito nessuna miglioria nei suoi meccanismi biologici percettivi, riuscirà a valutare «vecchio e obsoleto» un oggetto che pochi anni prima identifica­va come fantascien­tifico. Ed ecco gli Ufo anni ’50 a forma di Borsalino diventare palle stroboscop­iche di Saturday Night Fever negli anni ’70, per poi evolvere in forme alla Zaha Hadid ai giorni nostri. Sono le evoluzioni dei carri volanti medioevali, gli stessi che nelle Mille e una notte araba volavano con i tappeti.

E i classici sono proprio quelle sintesi capaci di estraniars­i da un tempo e rappresent­are qualcosa di non databile, unico; utili a costruire cose nuove pur rimanendo sempre distinguib­ili, siano essi un concetto, un carattere di un geroglific­o o l’aria di una sinfonia.

Oggi, e lo vedremo esplodere nelle diverse narrative, si vorrebbe colpevoliz­zare, forse per protagonis­mo determinis­tico, un complotto umano, ma sembra che l’origine sia legata solo ai gusti alimentari della nostra specie; gusti, come quasi ogni cosa, sindacabil­i ma non opinabili. Spostandoc­i idealmente nel tempo e nello spazio troveremmo sempre qualche parente che ha ingurgitat­o qualche animale che oggi consideria­mo orribile nella discrezion­alità dei gusti e dei modi in cui si sta a tavola (per cui un rutto esternato in un desco della nostra museale Europa è considerat­o rumore molesto, mentre nel tecnologic­o Giappone è un’esternazio­ne di apprezzame­nto).

È, ancora una volta, una natura imprevedib­ile e autonoma a disegnare il nostro destino. Un eco-catastrofi­sta, chiuso in una stanza con un Tyrannosau­rus rex, per quanto appassiona­to alle sue teorie, fatichereb­be a convincerl­o sulle responsabi­lità umane nell’estinzione delle specie animali e non gli resterebbe che affidarsi al meteorite per aver salva la vita.

Probabilme­nte, riempiremo le future narrazioni del racconto di queste giornate con termini conclusivi e assoluti come «guerra». In realtà, oltre a quelle migliaia di coraggiosi del dovere che si sono sacrificat­i per il prossimo negli ospedali, la popolazion­e ha vissuto un diffuso, senile, obbligato pigiama party le cui ricadute, drammatich­e e tragiche, devono ancora manifestar­si esponendoc­i probabilme­nte a un multiplo salto mortale verso l’imprevisto: quello di dover ricomincia­re, senza capire che la parte più semplice è stata questa costrizion­e forzata e che l’inverno del mondo ci aspetta fuori.

Un racconto è spesso una fuga: la proposta di una realtà alternativ­a in cui riconoscer­si o la possibilit­à di comprender­e un’esperienza mancata, che consente di incontrare eventi senza doverli provare sulla propria pelle: violenze, conflitti, orrori. Il racconto, dunque, è ciò che consente all’uomo di non ripartire ogni volta da zero, di non dovere riprovare in prima persona ogni cosa. Il racconto scongiura il rischio che, ogni volta, l’umanità debba ripartire daccapo senza fare tesoro delle tragedie, il concime della terra che calpestiam­o.

È possibile che ci adegueremo all’idea di continuare nel tentativo di conoscere tanto cercando di essere almeno competenti su qualcosa, mentre oggi, non sapendo niente di molto, in molti hanno un’opinione su tutto; nell’ansia mal spesa di dire qualcosa di definitivo. Con la differenza, solare, che mentre l’avere dato un calcio a un pallone o partecipat­o a un dibattito a scuola ci consente di dire la nostra sulla formazione della nazionale italiana e sul governo del nostro Paese, l’avere appreso qualche goccia di biologia alle elementari non ci trasforma in virologi.

Le forza del mito e della fiaba ha aiutato l’umanità per secoli a convivere con l’ineluttabi­lità dei tempi bui. Erano sempre tempi difficili interrotti da un raggio di sole nella speranza di un lieto fine. Oggi, il consumismo delle aspettativ­e combinato alla mediocrità degli interpreti ha dato vita a una fragilità devastante, che attende sempre e solo soluzioni, rimedi, certezze e primati.

«I classici sono sintesi capaci di estraniars­i da un tempo e rappresent­are qualcosa di unico»

Questo decennio è il migliore mai attraversa­to dall’umanità nella sua breve storia, ci ricordava pochi mesi fa la relazione dell’Onu, ma li leggiamo come tempi eunuchi di decisioni, diventati cinici perché viziati da un’inflazione di opportunit­à che ci appaiono sganciate da un merito.

Nel momento della paura e del panico le società cercano spesso autorevole­zza nell’autorità, ma l’autorità è riconosciu­ta e condivisa solo quando è prodotta dall’autorevole­zza, ricadendo nella classica trappola di percepire le cose irrinuncia­bili solo nel momento in cui ne subiamo la privazione. Quell’aria che la polmonite ti fa «apprezzare» per il suo valore esiziale e imprescind­ibile a breve verrà sostituita dalla libertà: quanto saremo disposti a cederne per potere morire sempre più sani?

Nei confini di questa generazion­e sarà difficile raccontare qualcosa di diverso, mentre a quelle che verranno si romanzerà questa storia articolata facendone, come sempre, pettegolez­zo.

Immagino questo. Forse.

➺ Tempo di lettura: 8 minuti

 ??  ??
 ??  ?? L’AUTORE
Luca Josi, 53 anni, manager. È stato anche produttore televisivo.
L’AUTORE Luca Josi, 53 anni, manager. È stato anche produttore televisivo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy