Come ripensare la realtà
La normalità si è frantumata, ma loro sono pronti a disegnarne un’altra, dove si mescolano digitale e analogico, edifici, piazze, feste e monumenti. Con tre regole da seguire: COLLABORARE, collaborare e collaborare
PUNTO DI RIFLESSIONE
Si chiama Maraya (in arabo significa «specchio») ed è una grande Concert Hall in Arabia Saudita, ad Al-Ula: il progetto di Giò Forma è nato nel 2018 come installazione temporanea, per poi diventare un’architettura permanente.
Èaccaduto in questi giorni: una gentile cassiera del supermercato ha chiesto a Cristiana che cosa facesse nella vita e lei ha risposto: «Sono una designer, io nella vita progetto». La gentile cassiera ha allora risposto a sua volta: «Bene, meno male, io lavoro qua per voi, così voi, pur chiusi in casa, potete pensare al futuro e progettare qualcosa per risolvere la situazione».
È un po’ così ai tempi del coronavirus, serve la collaborazione di tutti, tutti devono mettere in campo quello che sanno fare e noi, che siamo progettisti, siamo chiamati a progettare. Lo dice anche la parola: proiectare in latino significa «gettare avanti». Ecco, fare il creativo, il designer, il progettista è dunque una fuga in avanti, un atto di fiducia nel futuro. E se l’oggi è complicato, se la normalità si è frantumata, vuol dire che ne disegneremo un’altra. Nell’antichità con il termine greco Ostraka si indicavano i frammenti di vasellame su cui annotare le cose da non dimenticare: ecco, noi non dobbiamo dimenticare. Dai frantumi nascono opere ancora più belle, si pensi all’arte del kintsugi: in Giappone si riparano i cocci con l’oro, saldandoli insieme con maestria. Per un progettista, il futuro è sempre meglio del passato. Il nostro amico Mauro ci ha inoltrato un saggio tweet dei Massive Attack al riguardo: «Il futuro, il post virus, è un portale e ci possiamo presentare al vaglio con i vecchi bagagli, preconcetti e modelli di vita non funzionanti o, meglio, possiamo viaggiare leggeri e vigili, pronti a partecipare e ad accettare il nuovo».
E così, a costo di sembrare naїf, ci permettiamo di sognare una grande festa, anche se distanziati e con la mascherina: potremmo occupare le strade di Milano (senza macchine) per un enorme aperitivo con una gloriosa sfilata di chi ha lavorato per noi coraggiosamente, dalle cassiere al personale della sanità. Noi saremo pronti a dare una mano per disegnare l’opening show. Intanto noi cercheremo di far decollare i progetti sospesi di questi mesi: stiamo lavorando con energia a edifici, masterplan, concerti, eventi, mostre e naturalmente a opere, ben due alla Scala di Milano e due a Sydney in rapida successione.
Vedremo poi come sarà possibile creare questi eventi: l’arte trova sempre una strada. Non crediamo che il digitale sarà l’unica via, anzi immaginiamo una terza Era dove il digitale e l’analogico non siano contrapposti bensì integrati, in equilibrio tra fisicità e tecnologia, in cui gli spettatori si possano immergere in un’esperienza da Gesamtkunstwerk, quella che era l’opera totale per Wagner.
Ora stiamo immaginando alcuni landmark per Milano, opere ibride un po’ monumento e un po’ edifici, un po’ piazze, ma soprattutto palchi per raccontare la città. Sicuramente dovremmo rieducarci all’emotività del contatto umano, con tre regole per il futuro: collaborare, collaborare, collaborare. Poi starà a noi progettisti generare meraviglia: servono molta creatività, generosità e pazienza, e forse un coltello da innesto. Cogliamo poi l’occasione di ringraziare tutto lo studio che lavora con noi: grazie a Francesca Bortolan, Sara Zerbini, Silvia deToni, Joyce Bonafini, Claudia Frassoni, Achille Picco, Niccolò Piccardi, Niccolò Franceschini, Jacopo Zibardi, James Klein Holiday, Pietro Bregni, Simone Schiavone, Luca Bertolotti, Giammaria Farina, Guglielmo Rocco, Ali’ e Xavier.
«Per un progettista, il futuro è sempre meglio del passato»