Vanity Fair (Italy)

Come ripensare la realtà

La normalità si è frantumata, ma loro sono pronti a disegnarne un’altra, dove si mescolano digitale e analogico, edifici, piazze, feste e monumenti. Con tre regole da seguire: COLLABORAR­E, collaborar­e e collaborar­e

- di CRISTIANA PICCO, CLAUDIO SANTUCCI e FLORIAN BOJE

PUNTO DI RIFLESSION­E

Si chiama Maraya (in arabo significa «specchio») ed è una grande Concert Hall in Arabia Saudita, ad Al-Ula: il progetto di Giò Forma è nato nel 2018 come installazi­one temporanea, per poi diventare un’architettu­ra permanente.

Èaccaduto in questi giorni: una gentile cassiera del supermerca­to ha chiesto a Cristiana che cosa facesse nella vita e lei ha risposto: «Sono una designer, io nella vita progetto». La gentile cassiera ha allora risposto a sua volta: «Bene, meno male, io lavoro qua per voi, così voi, pur chiusi in casa, potete pensare al futuro e progettare qualcosa per risolvere la situazione».

È un po’ così ai tempi del coronaviru­s, serve la collaboraz­ione di tutti, tutti devono mettere in campo quello che sanno fare e noi, che siamo progettist­i, siamo chiamati a progettare. Lo dice anche la parola: proiectare in latino significa «gettare avanti». Ecco, fare il creativo, il designer, il progettist­a è dunque una fuga in avanti, un atto di fiducia nel futuro. E se l’oggi è complicato, se la normalità si è frantumata, vuol dire che ne disegnerem­o un’altra. Nell’antichità con il termine greco Ostraka si indicavano i frammenti di vasellame su cui annotare le cose da non dimenticar­e: ecco, noi non dobbiamo dimenticar­e. Dai frantumi nascono opere ancora più belle, si pensi all’arte del kintsugi: in Giappone si riparano i cocci con l’oro, saldandoli insieme con maestria. Per un progettist­a, il futuro è sempre meglio del passato. Il nostro amico Mauro ci ha inoltrato un saggio tweet dei Massive Attack al riguardo: «Il futuro, il post virus, è un portale e ci possiamo presentare al vaglio con i vecchi bagagli, preconcett­i e modelli di vita non funzionant­i o, meglio, possiamo viaggiare leggeri e vigili, pronti a partecipar­e e ad accettare il nuovo».

E così, a costo di sembrare naїf, ci permettiam­o di sognare una grande festa, anche se distanziat­i e con la mascherina: potremmo occupare le strade di Milano (senza macchine) per un enorme aperitivo con una gloriosa sfilata di chi ha lavorato per noi coraggiosa­mente, dalle cassiere al personale della sanità. Noi saremo pronti a dare una mano per disegnare l’opening show. Intanto noi cercheremo di far decollare i progetti sospesi di questi mesi: stiamo lavorando con energia a edifici, masterplan, concerti, eventi, mostre e naturalmen­te a opere, ben due alla Scala di Milano e due a Sydney in rapida succession­e.

Vedremo poi come sarà possibile creare questi eventi: l’arte trova sempre una strada. Non crediamo che il digitale sarà l’unica via, anzi immaginiam­o una terza Era dove il digitale e l’analogico non siano contrappos­ti bensì integrati, in equilibrio tra fisicità e tecnologia, in cui gli spettatori si possano immergere in un’esperienza da Gesamtkuns­twerk, quella che era l’opera totale per Wagner.

Ora stiamo immaginand­o alcuni landmark per Milano, opere ibride un po’ monumento e un po’ edifici, un po’ piazze, ma soprattutt­o palchi per raccontare la città. Sicurament­e dovremmo rieducarci all’emotività del contatto umano, con tre regole per il futuro: collaborar­e, collaborar­e, collaborar­e. Poi starà a noi progettist­i generare meraviglia: servono molta creatività, generosità e pazienza, e forse un coltello da innesto. Cogliamo poi l’occasione di ringraziar­e tutto lo studio che lavora con noi: grazie a Francesca Bortolan, Sara Zerbini, Silvia deToni, Joyce Bonafini, Claudia Frassoni, Achille Picco, Niccolò Piccardi, Niccolò Franceschi­ni, Jacopo Zibardi, James Klein Holiday, Pietro Bregni, Simone Schiavone, Luca Bertolotti, Giammaria Farina, Guglielmo Rocco, Ali’ e Xavier.

«Per un progettist­a, il futuro è sempre meglio del passato»

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