André Aciman e Manuel Vilas
Ricominciare a vivere può essere l’inizio di una nuova storia del mondo, fatta di pace e collaborazione tra i popoli. Ma anche di piaceri più piccoli, come una cena tra amici in cui ci si toccano i gomiti a tavola, e si beve buon vino
Il mio sogno è che il giorno in cui il virus Covid-19 sparirà dalle nostre vite o in cui troveremo una cura oppure un vaccino si dia inizio a una festa in tutto il mondo, con momenti meravigliosi non diversi da quelli della firma dell’armistizio nel 1945 o della liberazione di Parigi, con De Gaulle in marcia e le campane della cattedrale di Notre Dame che suonano di nuovo, come se fosse loro chiesto di farlo una volta ogni cent’anni.
Sogno che ci sarà fratellanza fra le nazioni e che, almeno per un po’, la gente dei Paesi che sono in guerra gli uni contro gli altri apriranno un dialogo e scopriranno che, alla fine, ciò che li ha avvicinati era molto più importante di quello che li aveva tenuti separati così a lungo.
Che confini contestati, differenze etniche e religiose, storie di guerre, rancori che vanno indietro di generazioni se non di secoli o millenni, tutto ciò possa essere superato e messo da parte una volta che un nemico molto più pericoloso è stato finalmente sconfitto.
Sogno che un Paese che possiede maschere e ventilatori oltre il necessario li mandi a un’altra nazione che non ne ha in quantità sufficiente, e che Paesi che hanno resistito all’attacco del virus avranno risorse e conoscenze da condividere con quelli che ancora stanno soffrendo.
Dal mio punto di vista, come scrittore, sogno che presto le persone che mi hanno invitato per ascoltare le mie parole e sentirmi leggere brani dai miei libri si riuniranno di nuovo in tanti luoghi diversi in giro per il mondo per darmi il benvenuto, che mi verranno a cercare con ancora più entusiasmo e che mi permetteranno di mostrar loro, come mi è sempre piaciuto fare, quanto sia grato della loro fiducia, della loro lealtà e della passione che hanno dimostrato per quello che ho scritto fino a ora.
Essere uno scrittore significa dover condurre una vita molto solitaria; ma sono anche una persona eccezionalmente sociale, e i rapporti di amicizia che ho stretto con parecchi lettori e con tanti giornalisti sono diventati così gratificanti e piacevoli che non vedo l’ora di bere quei bicchieri di vino che in tanti hanno generosamente offerto di condividere con me una volta che questo virus sarà stato finalmente domato, se non estirpato.
Quanto a me, voglio tornare alle mie lezioni e vedere i miei studenti faccia a faccia, e non attraverso il monitor del mio computer con alle spalle uno sfondo finto, virtuale. Voglio vedere le loro reazioni fisiche, non le loro espressioni facciali trasmesse e, in ultima analisi, sterilizzate, attraverso l’etere.
E, per finire, rivoglio la mia vita com’era prima. Sogno di camminare per strada senza schivare le persone che si avvicinano troppo. Voglio abbracciare e baciare quelli che mi sono cari. Sogno pranzi con amici e colleghi, cene con vini meravigliosi, rossi e bianchi, e piatti sontuosi da gustare con i miei buoni amici, feste dove si può essere grati di conoscere le persone che si frequentano e stare a tavola abbastanza vicini da toccarsi i gomiti.
Questo è un sogno, e i sogni non sempre durano a lungo. Ma voglio che questo sogno si realizzi presto, molto presto.