Vanity Fair (Italy)

Fronte occidental­e RECLUSIONE

- Di MATTIA FELTRI

li imprevisti (e le possibilit­à) della vita mi hanno tirato fuori dalla quarantena prima del previsto. Sono uscito di casa senza pensare, a passo di carica. Strada, metropolit­ana, strada, facce, vecchi angoli della città guardati come fossero nuovi. Sono stato quaranta giorni in

Guna prigione tempestata di diamanti, con la mia amatissima Annalena, i miei amatissimi bambini, il nostro amatissimo cane, e ci siamo sentiti una famiglia quanto mai ci eravamo sentiti prima. Il lavoro in remoto e il lavoro nel presente, del cucinare e del lavare e dello stendere e dello spazzare, la più ordinaria quotidiani­tà che soltanto tempi di sottosopra possono raccontare come romanzesca ed eroica. Be’, sì: abbiamo pulito casa, wow. Abbiamo continuato a lavorare e a guadagnare, e ogni santa sera abbiamo guardato un film sul divano. Un lusso. Sono uscito di casa senza pensare, perché essere anche soltanto sfiorato dal pensiero della liberazion­e mi sembrava sconcio. E piuttosto pensavo a quante di quelle

saracinesc­he abbassate verranno ritirate su, a quanti lasceranno la quarantena e non ritroveran­no il lavoro che avevano, ho rimuginato sulla sensazione costante che il dopo possa essere più devastante della carneficin­a di queste settimane. Ho pensato, per esempio, fra mille eventuali esempi, alle duecentomi­la badanti straniere assunte in nero, a stipendi offensivi, e liquidate in due ore per paura del contagio e adesso perdute nelle città vuote, senza soldi, senza nome, senza diritto ad alcun sussidio, spesso bloccate dalla chiusura delle frontiere. Sono loro i terribili clandestin­i, le anime morte di cui nessun Gogol scriverà. A questo pensavo, e dunque ho preferito uscire di casa senza pensare, a passo di carica.

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