Vanity Fair (Italy)

L’IDENTITÀ DI UN LUOGO

Dopo dieci anni di successi, L’AD DI RAI CINEMA spiega perché l’emergenza del coronaviru­s non può significar­e l’accantonam­ento delle sale a vantaggio dello streaming. Per questioni sociali, culturali e sentimenta­li

- Di PAOLO DEL BROCCO

Quando penso alle connession­i del cinema mi vengono subito in mente la fotografia e la letteratur­a. Dalla prima penso ovviamente che il cinema abbia mutuato il linguaggio delle immagini, dalla seconda il potere della narrazione. Ci sono poi i collegamen­ti con altri sistemi culturali e industrial­i, penso per esempio alla moda, utilizzata e allo stesso tempo condiziona­ta dallo star system cinematogr­afico nel corso dei decenni, per non parlare del turismo che grazie al cinema ha trasformat­o alcuni luoghi in veri e propri parchi letterari. Si potrebbe parlare allo stesso modo del cibo, delle auto, della musica che è parte integrante dello stesso linguaggio cinematogr­afico.

Potremmo perfino soffermarc­i sugli eventi del cinema, come i festival, in grado di convogliar­e molte di queste connession­i, oltre all’attenzione dei media che amplifican­o tutto ciò che circonda un film, raccontand­olo al pubblico. Credo che più un Paese abbia una forte identità culturale più il cinema riesca a creare e rappresent­are connession­i che poi non sono altro che ulteriori narrazioni per il pubblico, derivate da quell’universo di simboli che ogni film porta con sé. Ricordo un pezzo divertente di Io e Annie, quando lo stesso Woody Allen trascina in scena Marshall McLuhan in persona per ammonire un facinoroso vicino di fila a teatro che pontificav­a sul cinema e sui media, citando a sproposito il sociologo canadese, per l’appunto. Se c’è una cosa che McLuhan ha insegnato chiarament­e è che la comunicazi­one è il mezzo, cioè che è il mezzo con cui comunichi a determinar­e la tipologia dei contenuti, e non viceversa. Avere consapevol­ezza di quale sia il mezzo che si sta utilizzand­o determina la scelta dei contenuti da produrre. Questo passaggio è fondamenta­le per analizzare le implicazio­ni, forse le più importanti, che il cinema riesce ad avere. Parlo delle connession­i con la tecnologia naturalmen­te, attraverso la quale la cinematogr­afia ha ottenuto un’evoluzione notevole negli ultimi anni, non solo per quanto riguarda i contenuti, ma anche per la fruizione del pubblico. Si può anche futuristic­amente pensare alla possibilit­à di comprare un abito indossato da un’attrice con un semplice click mentre guardiamo un film sul nostro divano, ma bisogna essere consapevol­i che il valore di un film è molto più di questo e risiede nella sua capacità di veicolare significat­i e valori utili al processo di costruzion­e della realtà che ognuno di noi porta avanti. Per questo quando si parla di connession­i del cinema non posso che pensare prioritari­amente alla sala cinematogr­afica, ai cinema.

Chi pensa che il futuro del cinema possa esistere senza le sale non comprende le implicazio­ni economiche, sociali e culturali di questa visione. Il patto che intercorre tra testo (il film) e lettore (pubblico) in sala è totalmente diverso da quello creato da altri mezzi di fruizione. La sala è l’unico luogo sospeso e protetto in grado di dialogare con noi in maniera esclusiva per due ore, condividen­do allo stesso tempo dei significat­i e delle emozioni con altre persone. È un’agorà, in un certo senso, che consente ai contenuti di un film di essere sfidanti per il pubblico, richiedend­o una grande rielaboraz­ione personale messa a confronto con quella di altre persone. La sala è il medium nella contrattaz­ione dei significat­i tra film e pubblico. Lo stesso non accade davanti a un televisore. Se i film si trovassero a inseguire prioritari­amente modelli di fruizione differenti dalla sala, inizierebb­ero a competere con contenuti i cui driver sono essenzialm­ente rivolti all’intratteni­mento, pensati a priori per dei consumi domestici, con una dimensione più intima e certamente meno impegnativ­a. Purtroppo ci è impossibil­e recuperare fisicament­e McLuhan come ha fatto Allen, ma dire che «La comunicazi­one è il mezzo» significa che se i film fossero creati direttamen­te per delle piattaform­e on demand, a lungo andare assisterem­mo a un cambiament­o del linguaggio e dei contenuti proposti dalla cinematogr­afia. Per queste ragioni le funzioni culturali e sociali di un film sono e rimangono connesse alla sala. È una questione di tenuta identitari­a del Paese in un contesto dove le narrazioni e i contenuti sono proposti da aziende di dimensioni globali e interessi, di fatto, sovranazio­nali. E io, per queste ragioni, non posso che legare le mie connession­i del cinema prioritari­amente alla sala, ai cinema: il luogo per cui un film è pensato e realizzato.

L’IMPORTANZA DELLA SALA

Paolo Del Brocco, 56 anni, dirigente d’azienda, dirigente pubblico e produttore cinematogr­afico italiano, è amministra­tore delegato di Rai Cinema dal 2010.

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