I SOMMERSI E I SALVATI
C’è chi ha paura, chi fa zumba in salotto, chi raccoglie fondi e chi è sparito nel «buio». E c’è chi ha analizzato la nostra VITA DIGITALE e ci ha diviso in gruppi
a sempre studia il nostro comportamento in Rete, e ne trae analisi che indirizzano la pubblicità di 1 azienda su 3 in Italia. «Sapevamo che il sovrappopolamento e il surriscaldamento della Terra erano un problema, dicevamo che per fermare questa “corsa” sarebbe dovuto arrivare l’asteroide, la guerra nucleare, una pandemia. Scenari apocalittici a cui, dopo decenni di benessere, ci avevano abituato prima i film, poi gli esperti. C’erano, come Cassandre, Greta Thunberg e Bill Gates: ma andavamo avanti senza preoccuparci davvero». Massimo Beduschi – 55 anni, Chairman e Ceo di GroupM, media holding del gruppo WPP, ossia la più grande società di investimento media al mondo – spiega al telefono come la sua azienda abbia quindi iniziato a studiare i navigatori ai tempi dell’emergenza Covid-19. «Abbiamo identificato sette identità di persone, segmenti di popolazione che non esistevano a gennaio perché avevano obiettivi, risorse, pensieri, speranze molto diverse rispetto a quelli che hanno oggi», continua. Scorro l’elenco che mi ha inviato e, nella popolazione italiana maggiorenne che naviga negli ultimi due mesi, salta all’occhio l’ultima categoria, i cosiddetti «Surrender», così descritti: «Sono 2,2 milioni (il 5,4% della popolazione online): i sommersi, coloro che sono sprofondati in una zona oscura».
DDi chi si tratta più nel dettaglio?
«Sono persone che non hanno mezzi né risorse per andare avanti, pessimiste, che cercano informazioni su come sopravvivere. Adulti, con una leggera maggioranza di donne, in piccole città, spesso separati o divorziati, con lavori precari che hanno perso o perderanno. Hanno paura dell’emergenza economica e sociale che le aspetta quando il virus scomparirà. E sono molte di più di quelle che abbiamo censito noi: ricordate i 14 milioni di italiani in povertà assoluta e i 5 milioni sotto questa soglia che l’Istat fotografava nel 2019? Ecco. Mancano all’appello più di 10 milioni di persone “digitalmente invisibili”».
Oltre a loro, chi avete profilato?
«Possiamo dire che il mondo si divide in due macro aree: “i sommersi e i salvati”. Quelli che non hanno speranza, appunto, e quelli che hanno davanti una certa prospettiva di futuro, quindi sono colpiti ma possono vedere una luce in fondo al tunnel. Nel primo gruppo oltre ai Surrender ci sono anche i Protector e i Defender, oltre 20 milioni di persone e la maggioranza di chi naviga in Rete: guardano l’aspetto sanitario, economico e sociale. Madri e padri di famiglia di una certa età, o persone più anziane, che si preoccupano della propria salute, del proprio portafoglio e della loro nuova normalità: quando usciremo, a cosa dovremo rinunciare. A questo, che chiamiamo “mainstream passivo”, si affianca quello “attivo”, circa 17 milioni di individui, a scalare: gli Escapist, quelli dei corsi online, più digitali, più giovani, vedono l’aspetto più ludico del lockdown, hanno un basso rischio per il Covid-19; i Calm Keeper e i Committed, che provano a non lasciarsi travolgere dalle emozioni e a mantenere un equilibrio psicologico. Non guardano ogni ora i notiziari, ma si organizzano. Sono boomer, con un livello sociale e scolastico medio-alto, che consente loro di vivere meglio il presente. Infine i Communitarian, che oltre a se stessi hanno pensato agli altri, per non lasciare indietro nessuno».
In attesa di una cura efficace o un vaccino per il Covid-19, quindi, come sono cambiate le nostre relazioni?
«Ci sono accelerazioni, e alcune trasformazioni: l’e-commerce esisteva già, ma ora è esploso, quindi cambia il nostro modo di acquistare. I corsi online di cucina o di yoga c’erano già, ma ora hanno un boom, finalmente coniughiamo la vita offline e quella online, nella cosiddetta “mixed reality”. È emersa l’importanza dei dati e del tracciamento, che, in questo momento, dovrebbe relativizzare il discorso sulla privacy: i dati sono utili se si possono usare, come è successo in Corea del Sud, e quindi si può derogare alla privacy se mi salva la vita – non considerando poi che lo facciamo ogni secondo, da quando ci facciamo geolocalizzare per sapere dove abbiamo lasciato la macchina o per frequentare app di incontri. Dopodiché assistiamo anche alla sempre maggiore polarizzazione tra ricchi e poveri. E mentre vanno in crisi pezzi della sharing economy, dal coworking a Airbnb – il concetto “tutto è di tutti” non funziona più –, torna la proprietà privata, o l’esperienza unica ed esclusiva, mia, magari più cara, ma che giustifica farla dal vivo».