FIGLIO CHE GIRI SOLO NELLA GIOSTRA
ravamo in vacanza nelle Alpi, Jacopo aveva 3 anni e mezzo. Era un bambino che ascoltava i racconti, giocava anche da solo e gli piaceva fingere di cucinare. Quel giorno salì sullo scivolo e, in cima, faceva strani movimenti, roteava su se stesso rifiutandosi di scendere. Ebbi un soprassalto, fu un attimo. Oggi lo rivivo e lo riavverto come il preistorico sintomo del suo male. Passò più di un anno, Jacopo aveva ancora una vita assolutamente normale. Un giorno andammo a trovare il dottor Antonio Guidi e sua moglie Paola, nostri amici, e pranzammo insieme sulla spiaggia di San Benedetto. Antonio, che anni dopo sarebbe diventato ministro per la Famiglia, rimase meravigliato delle capacità di Jacopo che gli raccontava la storia di Sigfrido, conosceva tutti i colori, compreso l’amaranto, e ricordava i nomi di tutti i personaggi di Walt Disney. In quel periodo io e Annie vivevamo separati e in città diverse, ma io venivo ogni settimana a trovarlo. Era il 30 settembre del 1990, aveva 4 anni e mezzo. Andammo a pranzo in una trattoria nella campagna di Morrovalle. Jacopo si alzava continuamente, rovesciava l’attaccapanni, si aggirava senza tregua fra i tavoli. Ero sgomento, ma non ho detto nulla. In macchina ho ripreso Annie, accusandola di non saperlo educare, e lei mi ha risposto: «Non capisci che Jacopo non sta bene?». Siamo rimasti in silenzio mentre Jacopo continuava ad aprire il finestrino per far entrare la pioggia. Quello fu il momento in cui ho capito che qualcosa di irreparabile era successo. Che cosa? Ce lo siamo chiesti e lo abbiamo chiesto infinite volte nei successivi 30 anni. Forse è nato nell’anno di Chernobyl, forse un’encefalite asintomatica, forse... In poco più di un mese aveva perso gran parte delle sue capacità, la memoria dei colori e dei personaggi Disney era scomparsa. Seguirono anni di fatica e speranze. La scelta inutilmente dolorosa della psicoanalisi, i suoi scoppi d’ira, i commenti assurdi: «Jacopo, non puoi mangiare la mamma, è troppo grande». Il grande specialista di autismo che poco ha potuto, non per colpa sua, ma perché non esistono cure efficaci. L’esperimento della dieta priva di glutine e carne, idea di un allora celebre scienziato norvegese. Per un breve disperato periodo, il medico omeopata: un disastro. Portavo Jacopo al mare, a casa mia a Urbino, alle terme. Il disturbo avanzava implacabile: il suo mondo si restringeva sempre più, solo il legame con la madre restava assoluto.
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Jacopo, il nostro gigante, 1 metro e 83 per 45 di piedi, domenica 29 marzo ha compiuto 34 anni. Più sereni, gli ultimi, grazie all’aiuto di un centro diurno che ha scandito la sua giornata secondo moduli precisi. Anche il nostro rapporto di coppia è cambiato: ci siamo incontrati ancora e viviamo insieme. L’amore per Jacopo può dividere e può unire, in entrambi i casi profondamente.
Ma il centro è chiuso per l’emergenza sanitaria e a Jacopo sono venuti a mancare punti di riferimento e schemi relazionali. Essere confinato in uno spazio ristretto costa molta fatica a lui, che è iperattivo, e a noi. Due volte al giorno dobbiamo uscire e trovare, nelle campagne fra colline e mare, un luogo isolato e deserto per farlo camminare, anzi correre. I media, intanto, fanno passare il messaggio che gli autistici sono Asperger, come Greta Thunberg. Ma Jacopo non legge e non scrive, e anche se gravita nella stessa galassia è lontanissimo da lei. La sua non è una storia rassicurante, è la storia della maggior parte delle persone colpite da autismo, la storia di un ragazzo che ha bisogno di certezze, di spazi, di aiuto. Figlio che giri solo nella giostra quegli altri la rifiutano, così antica e lenta ma il padre t’aspetta sgomento ed appartato dietro il tronco che il tuo sorriso mite t’accompagni nel cerchio della giostra nella zattera dove stai senza compagni umberto piersanti
Umberto Piersanti, un grande poeta della mia Urbino, ha scritto questa lettera «a due mani, intrecciate» con Annie Seri, la mamma di Jacopo e, sospetto, la forza che ha tenuto in piedi una famiglia colpita da un capriccio cattivo e implacabile. Qualcuno ha osservato che l’emergenza Covid-19 è stata gestita meglio nei Paesi governati dalle donne. Se ci fossero più donne al governo, nelle Regioni, nelle direzioni sanitarie, forse ci sarebbe stato un pensiero in più per gli anziani, il più vulnerabile dei bersagli del virus. O forse no. Ma sicuramente, tra una diretta Facebook e l’altra, si sarebbe spesa una parola in più per i disabili, le loro famiglie, e gli altri invisibili di questa storia: i bambini. Anche quelli giganti, come Jacopo.
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