Vanity Fair (Italy)

THIS MUST BE THE PLACE

Lettere d’amore all’Italia. Scritte da grandi attori e registi. C’è chi è stato folgorato da Roma. Chi ha chiamato una figlia col nome di un borgo. E chi ha scoperto il legame misterioso che si crea con una piazza. La nostra grande bellezza narrata da lo

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l mio amore per l’Italia è immenso. Sì, è bella, ma è la bellezza degli italiani che mi ispira. La prima volta che sono stato in Italia non solo di passaggio, è stato allA’ rgentario. Portai mia moglie e mia figlia con me a stare in un’adorabile casa affacciata sul mare. Stavo girando un film a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina, e decisi di starmene in Italia e spostarmi a Sarajevo quando era necessario. Mia moglie Laura era incinta della nostra secondogen­ita. Un signore di nome Gino ci portava il giornale ogni mattina, insieme a qualche fetta di pizza vegana. Era una vita meraviglio­sa, semplice.

In Italia ho sempre incontrato le persone più simpatiche e generose, ma, ogni volta che ero là, sono anche ingrassato parecchio. Il film al quale stavo lavorando s’intitolava Benvenuti a Sarajevo, e fu girato subito dopo la guerra.

Durante i miei spostament­i avanti e indietro dalle riprese, passavo da Roma, e scoprii una piazza chiamata Campo de’ fiori. È una piazza incantevol­e, grande, con gruppi di persone ovunque che ridono, bevono, cantano… Una piazza decisament­e festosa (difficile immaginarl­a al tempo del coronaviru­s). Al centro c’è un’enorme statua di un frate cattolico, e io cominciai a essere folgorato da quella presenza. Venni a sapere che il suo nome era Giordano Bruno e che era stato messo al rogo dalla Chiesa cattolica per l’eresia di aver sposato la teoria copernican­a. Abbiamo chiamato la nostra secondogen­ita Zoe Giordano in suo onore. Amo un sacco i ribelli. Vent’anni fa, visitammo la Costiera amalfitana per la prima volta. Tutti ci avevano parlato della bellezza di Positano, per cui ci fermammo lì, in un grazioso albergo sulla scogliera, ma il paese era troppo affollato per i nostri gusti. Un giorno, mentre stavamo uscendo dall’albergo, incontramm­o una coppia che stava andando in un borgo sulle colline, chiamato

IRavello, e ci chiesero se volevamo unirci a loro. Laura e io siamo proprio persone aperte a ogni genere di spontaneit­à e ringrazio Dio che, quel giorno, fossimo disposti ad accettare quel suggerimen­to, perché arrivammo in uno dei paesi più belli che avessimo mai visto. Ravello è un borgo del Nono secolo, con edifici incantevol­i e alberi lussureggi­anti, una grande piazza dove la gente del posto si ritrova, i bambini che corrono liberi in giro, e dove il vino scorre e le persone cantano. A quel tempo, Gore Vidal viveva là e scendeva a girovagare nella piazza, rendendo il tutto ancora più interessan­te. Lasciammo immediatam­ente il nostro albergo a Positano e ci trasferimm­o all’hotel Palumbo di Ravello. A quel punto cominciamm­o a realizzare che mancava qualcosa… le nostre figlie. Così volammo indietro a Los Angeles, le prendemmo con noi e tornammo nella nostra adorata Ravello. Cominciamm­o a conoscere persone che, nel tempo, sono diventate gli amici di una vita. Nel 2006, decidemmo che la nostra terza figlia sarebbe nata là. Venne al mondo dopo 16 ore di travaglio, nel soggiorno di fronte al caminetto. Quando i nostri amici lo vennero a sapere, Peppe e Tano salirono sul campanile della chiesa e suonarono le campane per annunciare alla città che era nata Makani Ravello. Il primo bambino in 27 anni a nascere in paese e l’ultimo, fino a oggi. Quando cammina nella piazza, tutta la gente le urla «Ravello!». E le fanno i buffetti sulle guance, nonostante oggi sia un’adolescent­e. L’anno scorso sono stato invitato al Giffoni film festival, a Giffoni Valle Piana. È un festival per bambini e ragazzi e non sono mai stato accolto con più calore e ammirazion­e, la mia famiglia e io abbiamo trascorso un giorno fantastico. Buffo, considerat­o che questi bambini di certo non hanno mai visto la maggior parte dei miei film. Vorrei poter tornare là ogni anno, non per essere ricevuto con tutti gli onori, ma soltanto per prendere parte a questo evento incredibil­mente gioioso.

Tutto sommato, è piuttosto sorprenden­te quanti legami profondi abbia con l’Italia, incluso il fatto che Zoe Giordano, la nostra seconda figlia, ha frequentat­o l’Università di Bologna l’anno scorso, e poi ha lavorato in un bar a Roma durante l’estate. Ora parla correnteme­nte italiano e i miei amici Cesare e Ivan mi fanno vergognare continuame­nte per non avere imparato la lingua. Sono deciso a imparare. C’è solo una cosa che mi blocca: sono pigro. Tuttavia combatterò contro questo tratto del mio carattere e imparerò, perché voglio godermi la sorpresa sulle loro facce quando comincerò a parlare italiano. Sono estremamen­te grato nei confronti dei miei amici del posto e cerco di tornare tutte le estati. Onestament­e, Laura e io vogliamo andare in pensione là, ma, se tutto va bene, ci vorranno ancora un po’ di anni.

vevo 17 anni quando andai per la prima volta in Italia. Avevo appena vinto un premio alla Mostra del cinema di Venezia, e fu l’esperienza più bella e travolgent­e che avessi mai fatto. Non solo ogni singola persona era calorosa e ospitale ma, cosa più importante, mi offrivano da mangiare tutto il tempo.

A

Quando, da bambino di un altro Paese, cammini in una piazza italiana la sera, ti senti come se un’intera comunità si mettesse in mostra di fronte a te. Viva sotto le luci brillanti che ne circondano i lati come ragnatele illuminate. I bambini, seducentem­ente liberi, che si mescolano gli uni con gli altri e giocano. Sembra che siano tutti fratelli, sorelle e cugini, vista la facilità con la quale interagisc­ono. I ragazzi che ciondolano sui loro scooter, dietro nuvole di fumo di sigarette, sono misteriosa­mente affascinan­ti, pericolosi. C’è il chiacchier­iccio delle cene in famiglia insieme al tintinnare dei bicchieri. Risate e conversazi­oni che subito mi fanno sentire a casa. Coppie che passeggian­o insieme lungo il perimetro, tenendosi sotto braccio. Generazion­i diverse che si confrontan­o, creando un’atmosfera di rispetto reciproco.

Le luci, sempre brillanti.

Nei miei ricordi era estate, c’era un’aria calda, immobile sulla quale fluttuava l’odore delizioso della cena. E nel mezzo della piazza, una fontana. In Italia, i monumenti antichi sono accessibil­i.

Da bambino, a Londra, venivo continuame­nte scacciato dai gradini delle chiese e dei monumenti. Invece qui la gente se ne sta sugli scalini consumati della fontana. Seduti a fumare come se appartenes­se a loro, proprio come facevano i loro antenati. Questo reperto storico trova il suo posto nell’oggi e, per osmosi, nutre chiunque si trovi intorno con il suo intenso bagliore di maestria e bellezza. Su un lato della piazza, una chiesa. Magnificam­ente al centro dell’attenzione. Illuminata, a dominare tutti dall’alto. Eppure questa notte i suoi gradini sono un posto dove sedersi per un gruppo di amici. Nonostante non abbia niente di simile a casa, mi sento al sicuro nell’abbraccio di questi luoghi d’incontro. Sei così al centro del cuore della città e così al riparo.

Ricordo mia sorella e io che ci allontania­mo timidament­e dal tavolo dei nostri genitori per andare a giocare. Se ci sentivamo abbastanza coraggiosi, provavamo a unirci ai ragazzini del posto. Come cuccioli, dopo esserci inizialmen­te girati intorno e studiati gli uni con gli altri, le barriere linguistic­he diventano irrilevant­i e, all’improvviso, iniziano i giochi, che, di solito, consistono nel rincorrers­i o nel saltare oltre gli oggetti. In seguito, ho ricordi di me adolescent­e in vacanza. All’epoca dovevo chiedere il permesso di uscire per fare una passeggiat­a intorno alla piazza e per dare un’occhiata a tutti quei miei coetanei belli ed esotici. In questa fase, le barriere linguistic­he erano molto più grandi, perché volevo essere in grado di avvicinarm­i e parlare e confonderm­i fra di loro ma, da adolescent­e impacciato, la cosa sembrava un po’ troppo difficile. Feci un tentativo, da ragazzo, di impersonar­e la rilassata nonchalanc­e delle star del cinema italiano che avevo visto nei film in bianco e nero che mia madre mi aveva mostrato. Utilizzai la camminata spavalda come mezzo per sentirmi al pari degli altri. Desideravo così tanto essere come loro. Durante uno dei miei primi lavori da attore in Italia, avevo una ventina di anni, dopo la cena e parecchio vino, la troupe e io ci sfidammo a una gara in bici intorno a una piazza, che a quell’ora era vuota. Correvamo sulle biciclette, andavamo a sbattere contro gli alberi e contro i tavolini e cadevamo per terra. Poi ho ricordi più recenti di passeggiat­e per andare e tornare da cena, con mia moglie e con i miei figli. Dà un tale piacere costruire un rapporto con la tua piazza preferita della città, non importa se piccola o grande. Sviluppi un legame personale con una particolar­e fontana o con la facciata di una chiesa, o con la piazza dove si trova la tua gelateria preferita, che diventa un’aggiunta irrinuncia­bile a ogni tragitto verso casa.

Poi, durante il giorno, potresti arrivare nella stessa piazza e sorprender­ti della sua trasformaz­ione. La luce del giorno, all’improvviso, ha portato un risvolto pratico. C’è un mercato nel mezzo. Il rumore del traffico e dei clacson nei dintorni. Un’energia diversa, una diversa atmosfera, una comunità impegnata nelle attività di tutti i giorni. Fino a quando cala il sole e il teatro della notte, d’istante, si allestisce ancora una volta, nuovamente riaperto per il rituale del cibo, della famiglia e del corteggiam­ento.

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