LA FELICITÀ NON È LO SPAZIO
Qual è la «città ideale», dove la bellezza invade ogni angolo? Da Roma a Pechino, un architetto ci guida alla meraviglia. Anche se «il vero lusso è il tempo»
Se penso a Paolo Sorrentino, penso a quella meraviglia che è La Grande Bellezza, e se devo pensare all’opera architettonica che più di tutte, per me, riassume quel romanticismo e quella mondanità del film forse sceglierei le rovine di Villa Adriana, con tutta la natura che ci sta intorno. Le rovine ti lasciano spazio all’immaginazione, come se potessi fantasticare su quello che c’era lì una volta. Se però mi spostassi da Roma, penserei a una città ideale, simbolica, un mix di tanti posti diversi. Io adoro Venezia, una città costruita sul miracolo, ma non potrebbero non esserci anche pezzi di Barcellona, la città dove vivo, con i suoi curati spazi pubblici e la sua bellissima spiaggia, una città che ha saputo trasformarsi, da grigia com’era è diventata famosa per i suoi colori e per la sua luce. Poi ci metterei un po’ dell’aggressività di New York, di quella sensazione che solo lì si prova e che ti fa sentire di essere il proprietario del mondo intero. Perché sia davvero la città più bella di sempre, metterei un pizzico di Londra, per i suoi giardini, e inserirei lo spirito che si respira a Copenaghen e ad Amsterdam, quel loro essere città che sembrano paeselli. Il tocco finale lo lascerei a Parigi, per dare al tutto ancora più eleganza. Ma una città ideale si può comporre sì con porzioni di città esistenti, ma anche di quelle che stanno nascendo ora.
In Cina stiamo seguendo progetti emozionanti e adesso abbiamo fatto una proposta di ponti verdi per un futuro nuovo centro abitativo, che dovrebbe sorgere accanto a Pechino: vogliono creare un paese sull’acqua, una nuova Venezia tecnologica. Mi diverto, mi piace pensare a quello che si può migliorare. E in Italia di lavoro da fare ce n’è eccome: le città italiane, anche se sono incantevoli, hanno spesso difficoltà a organizzare una crescita armonica, in bellezza. Guardiamo Firenze: quando dall’aeroporto di Peretola raggiungi il centro città – e stiamo parlando del fiore all’occhiello del nostro Paese – devi attraversare orrendi nodi autostradali e periferie sconfortanti. Perché non ci si occupa di rendere gradevole anche la frangia intorno alla città? Ho sentito dire che l’home working, che si è testato ovunque durante la pandemia, ha spinto la gente a pensare che si possa lavorare da qualsiasi parte, senza riversarsi negli uffici, tutti concentrati nei grattacieli al centro delle metropoli. Io però non credo che poi alla fine succederà davvero così, che le persone opteranno definitivamente per una vita isolata, magari in una campagna lontana: in fondo ci piace stare con la gente, siamo gregari, la razza umana tende a stare insieme. Magari certo ci si potrà decentralizzare un po’ e allora ci vorranno mezzi di trasporto comodi, non inquinanti, che consentano di vivere nella cintura esterna più verde, ma di arrivare comunque velocemente a essere in contatto con il resto del gruppo. Bisognerebbe pensare a diverse linee di movimento: dalle biciclette elettriche alle metropolitane, che non facciano perdere tempo in un traffico ingorgante. Il tempo è il vero lusso, un tempo per noi stessi che ci renda più felici. C’è un detto secondo cui chi cerca la felicità per se stesso la perde, se la si cerca per gli altri la si trova. Ecco, io sono felice se riesco a rendere felici gli altri, immaginare spazi dove si possa stare bene, dove ci si senta a proprio agio, trovando il modo di avere un’integrazione tra gli edifici e la natura. Spero sempre che nei miei lavori ci sia questo equilibrio e che passi una buona dose di allegria. Io non sono mai stata mondana, almeno non da ragazzina quando preferivo i libri alle feste. Però è come se adesso avessi voglia di recuperare e cerco gli incontri: da quante sono, non riesco a star dietro a tutte le persone a cui voglio bene».
*Direttore dello studio internazionale di architettura Miralles Tagliabue EMBT, fondato nel 1994, con sedi a Barcellona, Shanghai e Parigi. Direttore della Enric Miralles Foundation, il cui obiettivo è promuovere l’architettura sperimentale.