LE MANI IN PASTA
Pane, pizza, piatti della tradizione: gli italiani durante il lockdown si sono scatenati in cucina. Carlo Cracco ci racconta il suo parere sulla necessità, anche psicologica, di stare ai fornelli: per mettersi alla prova, per condividere e fare nuove scop
li italiani, da tradizione, sono un popolo di esperti: allenatori di domenica e durante i Mondiali di calcio, critici musicali nella settimana di Sanremo e, in epoca di Covid-19, cuochi, panettieri e pizzaioli. La vita forzata da casalinghi ha stravolto le abitudini quotidiane di tutti e, tra i cambiamenti più evidenti (basta guardare i social), quello avvenuto in cucina ha giocato un ruolo primario, anche per chi non aveva mai avuto molta dimestichezza con i fornelli. A pochi giorni dall’inizio del lockdown, dopo l’irreperibilità di mascherine e disinfettanti, il lievito di birra e la farina sono stati tra i primi prodotti a sparire, dapprima razionati, poi quasi introvabili. Come mai il mondo in piena pandemia si è messo a cucinare?
«Non poter uscire e avere paura di tutto quello che veniva da fuori perché potenzialmente pericoloso per il contagio ha spinto la gente a rifugiarsi nel cibo sicuro, quello fatto con le proprie mani», risponde Carlo Cracco, chef stellato noto a tutti (quando si temono aspettative su un proprio piatto si sente dire spesso «non sono mica Cracco, eh?») e giudice
GRITORNO ALLA TRADIZIONE
Carlo Cracco, 54 anni, chef stellato e patron dell’omonimo ristorante Cracco in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano. inflessibile in trasmissioni tv come chen.
«Allo stesso tempo è stato anche un modo di svagarsi, di realizzare qualcosa di positivo per sé e per la propria famiglia e, molto importante da un punto di vista psicologico, di giocare un ruolo attivo, anche se in piccola parte, nella lotta contro un terribile nemico comune».
Cucinare come atto di salvezza nelle difficoltà, dunque. «Trovo positivo questo boom di cuochi e cuoche, genitori e figli, tutti con la voglia di “mettere le mani in pasta” e di essere autosufficenti, imparando anche quanto costa cucinare in termini sia di tempo sia di fatica. Mentre fuori casa si è scatenato l’inferno, dentro le pareti domestiche la gente si è sentita al sicuro e attraverso gli ingredienti ha ricreato una nuova convivialità. Il cibo ha aiutato a prendere coscienza di sé, a misurarsi e a sentirsi utili creando piatti da condividere o da donare. È stata anche una sfida a fare qualcosa di nuovo, come comprendere, per esempio, i segreti della lievitazione, che non è meccanica e non si può governare facilmente: far nascere qualcosa dalla polvere è sapienza, ricorda la magia e si impara solo con l’esperienza. Sono nati tanti “panificatori”, che tra l’altro è un lavoro difficile, ma fare da soli il pane, soprattutto quando non si è del mestiere, dà grande soddisfazione, insegna a superare gli ostacoli e fa ottenere l’apprezzamento degli altri quando si postano le foto sui social. Inoltre è argomento di lunghe discussioni sui lieviti e sulla scelta delle farine: meglio macinata a pietra o integrale? Alla fine però l’aspetto fondamentale del cibo sta nell’essere il punto d’incontro della famiglia: in casa ognuno si ritaglia uno spazio, ma poi ci si ritrova a tavola».
Pane, pizza, lievitazioni: c’è stato in generale un ritorno ai piatti della tradizione, alle cotture lente, a una maggiore semplicità. «Si nota anche nei menu dei ristoranti che fanno delivery, si preferiscono ricette conosciute, che danno fiducia: non più piatti fatti per stupire, ma lasagne, parmigiana di melanzane, pollo arrosto e tiramisù, che parlano un linguaggio non professionale ma sociale che raggiunge tutti, è rassicurante e facile da condividere. Ora non è il momento di “fare il fenomeno” in cucina ma di sopravvivere anche attraverso la cucina. E non solo per il sostentamento, ma pure per la bellezza e l’emozione che ci può essere in un piatto, risultato di un lungo percorso che parte dalla terra e arriva a tavola, svelando attraverso i sapori, i profumi, l’estetica e la creatività con cui sono stati lavorati gli ingredienti, storie, ricordi, e sensazioni che danno nutrimento. È una bellezza di cui abbiamo bisogno».
MasterChef e
Hell’s Kit