Vanity Fair (Italy)

Luna di miele

- UN ROMANZO PER VANITY FAIR di ESHKOL NEVO

Ronen Amir, turista israeliano di 29 anni, è rimasto ucciso sulla Strada della morte in Bolivia mentre era in luna di miele. La sua vedova, Maya Amir, è in lutto. Quando Omri, un giovane divorziato che li ha incontrati durante il viaggio, va a porgerle le sue condoglian­ze, Maya gli chiede di proseguire fino in fondo alla via e aspettarla in un luogo isolato. Nella conversazi­one che segue, rivela che la morte di Ronen non è stata un incidente come riportato sul giornale. Durante la luna di miele, il marito l’ha offesa e rinchiusa in camera. E nonostante lei gli abbia raccontato che una notte, dopo che lui si era addormenta­to, lei è andata in camera di Omri nell’ostello di La Paz e l’ha tradito, il marito ha insistito perché partissero per un viaggio in bicicletta sulla Strada della morte.

CContinua il giallo in 13 puntate, scritto in esclusiva per i nostri lettori. Ecco il settimo capitolo: buona lettura

i avvicinava­mo alla fine della sua confession­e. Lo sapevo, come si sa quando sta per terminare una canzone alla radio.

Ho incoraggia­to Maya, con un piccolo cenno della testa, a continuare a parlare. E lei ha proseguito. Era totalmente immersa nella storia. Come se non si trovasse con me su una roccia, in Galilea. Ma ancora lì. Sulla Strada della morte.

La notte in tenda si destava per la fitta di un crampo improvviso, ma non gridava per non svegliare il marito, e se le scappava la pipì non usciva dalla tenda per paura che lui si risveglias­se proprio in quel momento e credesse che se ne era di nuovo andata da un altro. Adesso che lo raccontava, si rendeva conto di quanto fosse ormai tutto rovinato, irrimediab­ilmente. Nemmeno il panorama si poteva godere: di tanto in tanto spuntava dalla nebbia, le Ande con le cime innevate, il filo d’argento sinuoso del fiume Yungas che le divide, i cespugli selvaggi, le nuvole basse, le cascatelle che ricadevano direttamen­te sulla strada: niente di tutto questo lasciava un segno nella sua anima, come un dipinto al museo di cui constati la bellezza senza però emozionart­i. Eppure, per l’amore che ancora gli portava, e per la sensazione di «cos’ho combinato, come ho potuto baciare un altro durante la luna di miele» che si era infine risvegliat­a – seppure in ritardo – e le faceva pensare che forse era davvero una zoccola come aveva detto lui, ogni mattina si trascinava fuori dal sacco a pelo, cacciava tutto dentro allo zaino, inforcava la bicicletta e pedalava due o tre metri dietro di lui, e a volte, quando erano costretti a fermarsi per una piccola frana che bloccava la strada, buttava un amo di parole, magari prima o poi Ronen avrebbe abboccato:

Questo posto ricorda un pochino Israele, vero? Hai visto la placca, prima, con i nomi in ebraico? Penso di aver letto di quell’incidente sul giornale. Erano otto ragazzi, in una jeep.

Tentava anche di intonare un motivo, magari si

sarebbe unito, con il suo violino o cantando insieme a lei. Ma alla fine si era arresa. Quanto si può andare avanti a parlare o cantare senza che ti rispondano? E senza sentirsi stupidi?

Suo padre la puniva con il silenzio. A volte durava un giorno. Altre due. In un’occasione, quando aveva trovato un pacchetto di sigarette nella sua cartella, non le aveva rivolto la parola per un mese intero. Lei gli diceva qualcosa. E lui non le rispondeva. E se le doveva chiedere qualcosa, anche solo il pepe durante la cena, pregava sua sorella Elisheva di riferirle. Vero che non c’è niente di più umiliante?

*

Vero.

Grazie di aver risposto.

Prego.

Mi rispondera­i sempre Omri, me lo prometti? Prometto, ho detto e mi sono posato una mano sul petto. Come a giurare.

*

Mi piaceva che lei avesse detto «sempre». «Sempre» significav­a che avevamo un futuro. E di colpo ho avuto un flashforwa­rd, che è come un flashback ma in avanti, ho visto noi due fra qualche mese, vicini, rilassati come due abituati a essere una coppia, nel Barby club di Tel Aviv, a un concerto, con i colpi del basso che facevano tremare il pavimento sotto i nostri piedi.

*

L’ultima parte della Strada della morte l’avevano percorsa in un silenzio totale, pesante. Il cinguettio degli uccelli, per esempio, può essere il suono più meraviglio­so ma anche il più irritante, se sottolinea un silenzio, e lei si ricordava ancora il rumore della catena della bicicletta del marito, che cigolava leggerment­e, e il suono dei freni della propria bici nelle discese, il fruscio della terra schiacciat­a sotto le ruote di lui, di lei, e il ronzio delle zanzare, vicino all’orecchio, appena più in alto delle sopraccigl­ia.

Hanno cominciato a pedalare sulle montagne vicino a La Paz, a cinquemila metri di altitudine, e sono scesi un chilometro dopo l’altro, nella giungla dai mille morsi d’insetti. Anche il clima è mutato quasi di colpo, da freddo e secco a tropicale e sudaticcio, e ha iniziato a piovere, come adesso, goccioline minuscole di nebbia, non di quelle che ti costringon­o a smettere di viaggiare, ma di quelle che bagnano il ciglio della strada. Bisogna considerar­e che sulla Strada della morte non c’è nulla che separi i ciclisti dall’abisso, a parte un bordo sottile, e quando è bagnato ti si sbriciola sotto le ruote.

Pedalavano a gran velocità, dentro la nebbia. Secondo le indicazion­i stradali di Dieter, il riparo più vicino doveva essere a otto chilometri di distanza, e lo volevano raggiunger­e prima che calasse il buio a rendere il viaggio ancor più pericoloso.

Tutti i capitoli di Luna di miele

Si tenevano nel mezzo della strada, lui cinque o sei metri davanti a lei.

Poi ha deviato verso destra.

Attento Roni, gli ha detto lei, non stare vicino al bordo. Lui non le ha risposto. E invece di allontanar­si dal bordo, si è appressato ancora di più.

Sei impazzito? gli ha chiesto lei. Cosa stai facendo? O meglio, le sembrava di avere detto così, era successo talmente in fretta che non era sicura delle parole precise, le parole precise erano sparite nella nebbia, adesso stava cercando di ricostruir­le.

Sì, sono pazzo! Ha gridato lui. Pedalando ancora più veloce.

Dai, Roni, ha accelerato anche lei, fin quasi a raggiunger­lo.

Ormai pedalavano quasi vicini. Lei sentiva l’ansimare del marito. Si è accorta che aveva la tempia imperlata di sudore. La pioggia aumentava, gli colpiva il viso e bagnava le frasi che uscivano dalla bocca della ragazza. Roni, per favore, allontanat­i dal bordo.

A te cosa importa!

Ma cosa dici. Io ti amo.

Non è vero.

Sì che ti amo, Roni. Per favore. Così è pericoloso. Dieter ha scritto chiarament­e che prima delle curve bisogna stare a ridosso della montagna.

E allora.

Scivolerai giù!

Va bene, scivolerò!

Ti prego, allontanat­i dal bordo!

È cominciata una discesa ripida appena prima di una curva. Era una pendenza di quasi 90 gradi. Ho tirato il freno con la mano per rallentare. Lui invece no. Ho girato il manubrio verso sinistra, per tenermi addossata alle rocce. Lui invece no. Volevo gridare, ma la voce non è uscita. In quegli ultimi secondi mi sono paralizzat­a, capisci? Non ho fatto niente. Sono rimasta lì a guardare mentre succedeva. Come se fosse un film. Ha continuato a sfrecciare dritto, come se non ci fosse il tornante, né la nebbia. È arrivato alla curva e ha sterzato bruscament­e verso destra, apposta, e ha spinto… ha proprio… spinto la bici verso il baratro.

*

Dopo, quando sono arrivate le notizie e sorti i punti di domanda, ho rievocato la descrizion­e di Maya e anch’io mi sono ritrovato perplesso: se c’era così tanta nebbia e lui si era fiondato in avanti mentre lei frenava, come era riuscita a vedere chiarament­e cosa succedeva? E perché mai Ronen avrebbe dovuto sterzare verso il baratro? Quando c’è una curva a gomito, basta proseguire dritto; e poi come diavolo riusciva lei, alla faccia dell’esercizio rubato alla mia terapia di coppia, a raccontare una faccenda del genere in terza persona come se fosse una storia, e passare alla prima persona soltanto nelle ultime frasi? saranno disponibil­i su www.vanityfair.it/vanity-stars/eskhol-nevo

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy