Vanity Fair (Italy)

LA RICRESCITA INFELICE

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opo 3 mesi di psyco-quarantena, allentato il lockdown, qual è stata la prima emergenza del popolo italico? Rivedere la mamma e i figli, rincontrar­e gli amanti, andare in chiesa? No, prima di tutto viene il parrucchie­re. Colpito dalla nostra vanità, decisament­e il nostro orgasmo preferito, il nostro champagne, il New York Times mette da parte i centomila morti per virus negli Usa e dedica un articolo alla nostra libidine per il primping (farsi belli, agghindars­i). Questo crepacuore tricologic­o, scrive con un tono di grande sorpresa il quotidiano americano, «è molto sentito in Italia, dove − tra lotte tra governo nazionale e regionale, preoccupaz­ioni per una rinascente epidemia e timori di una catastrofe economica imminente − gli italiani hanno salutato l’apertura di lunedì dei parrucchie­ri come un’occasione per il «Grande Abbellimen­to».

E poi una sfilza di dati: l’Italia è l’Eldorado della messa in piega, con 104.000 tagliatori di teste e decine di migliaia di altri saloni di bellezza. I Paesi europei hanno un comparto notevolmen­te inferiore: perfino la vanitosa Francia ha solo 85.700 esercizi con la missione di far fuori il pelo superfluo. Per la cronaca, non solo italica ma globale, bisogna aggiungere un altro dato, questo sì davvero agghiaccia­nte: durante la pandemia, l’80 per cento delle «bionde» e dei «tinti» è scomparso. La ricrescita infelice non ha perdonato nessuno, dai ricchi ai poveri, dai divi ai mezzidivi. Alt! Gli unici a salvarsi sono state alcune dive del telescherm­o. Chi è l’unica conduttric­e che ha preteso trucco e parrucco anche

Din Fase 1? Lillibotox Gruber. Barbarie D’Urso invece non si è accontenta­ta: ha aggiunto anche manicure, pedicure e skincare. E tornano in mente le indimentic­abili parole di una canzone di Nino DA’ ngelo: «Nui simmo tresh, tenimmo ‘e mèches...». Siete curiosi di sapere qual è stato il primo grande evento mondano post-virus a Roma? Facile: la riapertura del salone di Robertino DA’ ntonio, lo storico parrucchie­re dei vip in via dei Prefetti, a due passi da Montecitor­io, starring Renato Zero. Prima di essere inglobato dal casco, Renatino ha riempito il calicino dello champagnin­o e ha brindato allo staff con le immortali parole della filosofia de’ noantri: «Datevi da fare, ragazzi: la vita è un mozzico, la morte è un pizzico, giochiamo a ruzzico!». Dopo il brindisi, per stemperare la commozione lacrimale dei presenti, la Fase Zero ha sghignazza­to con la sua espression­e preferita, quella detta «sticazzi», la seguente freddura: «Sapete il colmo per un parrucchie­re? Prendere una brutta piega!».

Tutto a posto? Macché! Per fissare un appuntamen­to per il «colore» potrebbero volerci settimane. Oggi la raccomanda­zione più «gettonata» è l’amicizia con un parrucchie­re… Del resto, quando in una notte di migliaia di anni fa Dalila tagliò i capelli a Sansone dormiente, fu subito chiaro che in mano alla bella non erano soltanto rimasti ciuffi bruni, ma la forza, il potere, il sesso di un uomo. Quello del mito biblico fu forse il primo indizio per spiegare un simbolo, una metafora che fin dalla nascita ci cresce in testa. Con il cataclisma pandemico, al centro dell’assalto allo stilista del boccolo ribelle è facile scorgere la nostalgia di una situazione di eccitament­o fisico, di una apparenza al limite del «crash» estetico; l’unico capace di ridar «orgasmo» ai nostri capelli «addormenta­ti» dalla prigionia della quarantena. Una stagione «de merda» durante la quale abbiamo rotto le scatole a tutti ma soprattutt­o abbiamo rotto ciò che la nostra vanità detesta al massimo: lo specchio, il nostro nemico più sincero. È solo quando la vanità si placa che siamo pronti a morire.

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