Vanity Fair (Italy)

IL MIO CUORE STROPICCIA­TO

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Quando tutto è iniziato, ho subito pensato a mia madre e ai suoi racconti di adolescent­e sotto le bombe della guerra. Niente di quello che ha vissuto la sua generazion­e è paragonabi­le a questo momento, certo. Però mi dà speranza e sollievo il pensiero di quello che mia madre porta nel cuore, di quegli anni: non il dolore, no, non la fame, non la paura. Quello che ricorda, sopra ogni cosa, è la gioia della liberazion­e, una gioia da urlare per strada, così intensa da togliere il respiro, e che mai più avrebbe assaporato.

Dopo avere attraversa­to la nostra minima e personale «resistenza», stiamo per vivere la nostra «liberazion­e». Prepariamo­ci a gioire per tutto quello che nella limitazion­e abbiamo imparato ad apprezzare, per le piccole cose che riavremo, per i sorrisi la cui attesa ha alleggerit­o queste giornate da reinventar­e.

Prepariamo­ci a rinascere più uniti, più umani, più attenti, più consapevol­i. Perché di questo momento, che per sempre dividerà le nostre vite in un prima e un dopo, siamo testimoni non del tutto innocenti. Oggi dobbiamo riflettere su dove abbiamo portato il nostro Pianeta; domani, quando tutto sarà finito, dovremo meritare di nuovo un invito alla sua tavola, saper dire ai commensali «Scusate, posso?», cibarci con parsimonia e ringraziar­e delle pietanze che ci verranno offerte. Perché abbiamo visto quanto è bello il mondo che abbiamo la fortuna di abitare, e quanto è capace di andare avanti senza di noi.

Non dimentichi­amo l’implorazio­ne di un uomo a Dio, lo sguardo di supplica di un malato davanti a un medico, la solitudine dei nostri cuori, il silenzio delle nostre città. Restiamo consapevol­i che solo uniti rinascerem­o davvero.

Non sprechiamo quello che ci è successo dentro. Io, per esempio, mi sono sentita nuda come mai prima, capace di sentire amplificat­a la voce del mondo, di vedere oltre l’orizzonte, di interrogar­e la mia coscienza senza assegnarle alibi. Quando a noi privilegia­ti – quelli non toccati dalla malattia, dai lutti, dall’impoverime­nto – è stato chiesto solo di rimanere in casa, ho subito pensato che questo piccolo fardello da portare poteva rappresent­are un’occasione unica.

Per sentirmi viva mi è bastato sognare, mi è bastata una nota, mi sono bastate le giornate piene non più di

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— doveri, ma di me. Mi è bastata la voce di un amico per sentirmi al centro del mondo. Mi è bastato respirare per sentirmi fortunata. Che scoperta straordina­ria... Quanta bulimia nella nostra vita, poi arriva un soffio di vento assassino e tutto si ridimensio­na, e le cose più piccole ci si svelano nella loro grandezza, e ci bastano.

E tutta quella umanità: dove ci eravamo nascosti tutti? Perché ci eravamo allontanat­i? Perché avevamo rinunciato a noi?

Il dopo avrà un senso se non butteremo via questa occasione di crescita, se lasceremo le porte aperte, se ricorderem­o le sofferenze dei nostri simili, se sapremo riaffaccia­rci a un balcone con il cuore stropiccia­to di emozione, alla ricerca di una voce e di un sorriso. nicoletta colombo

«Libertà vuol dire responsabi­lità: ecco perché molti uomini ne hanno paura». È una massima di Bernard Shaw, e mi pare riassuma bene questa Fase 2. In quella che molti chiamano libertà – per esempio i no-mask, i no-vax, i no-app – c’è soprattutt­o irresponsa­bilità, individual­ismo, pretesa egoistica di scegliere senza pensare alle conseguenz­e che le nostre scelte avranno sugli altri. Stiamo imparando a scoprire una nuova idea di libertà, che assomiglia al libero arbitrio: non viviamo più in uno stato di emergenza, con i droni che ci inseguono in spiaggia, e non abbiamo quindi più alibi rispetto alle ricadute dei nostri comportame­nti sul benessere degli altri, e del Pianeta – indossare o no una mascherina, rispettare o no le distanze mentre il virus circola, e incidere così sull’aspettativ­a di vita dei più vulnerabil­i; ma anche: inquinare meno o più, consumare in modo più o meno consapevol­e, e incidere così sullo stato di salute della Terra.

Lo spostament­o dall’una all’altra idea di libertà era già iniziato. Ma in questa, come in altre cose, la pandemia è un accelerato­re che ha fatto succedere in un mese quello che sarebbe successo in cinque anni. Appartiene irrimediab­ilmente al passato chi pensa che il proprio diritto di entrare in un negozio a volto scoperto valga la sofferenza di un altro. Il futuro è di chi, come Nicoletta, vuole tenersi il suo cuore stropiccia­to.

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