Vanity Fair (Italy)

LA PRIMA BRIGANTESS­A

Maria Oliverio detta CICCILLA è stata la prima brigantess­a d’Italia. Uno scrittore la riporta in vita in un romanzo che ci parla di coraggio, ribellione e di un Paese (il nostro) ancora spezzato

- di SILVIA NUCINI

Maria Oliverio detta Ciccilla

«Abbiamo combattuto per ottenere quello che era nostro e abbiamo perso. Ma la guerra più importante l’abbiamo vinta: abbiamo creduto che fosse possibile».

Le pieghe polverose della storia che non arriva sui libri sono piene di persone e di gesti che, anche se dimenticat­i, hanno fatto la differenza. In una di queste pieghe, nascosta nei faldoni di atti processual­i custoditi in un archivio torinese c’è la vita, e la morte, di Maria Oliverio, detta Ciccilla, la prima brigantess­a italiana. Nei molti fogli che Giuseppe Catozzella ha trovato su di lei durate i tre anni in cui ha lavorato all’idea che poi sarebbe diventato il romanzo Italiana (Mondadori), Maria si definisce «tessitrice, cattolica e illetterat­a» ed è questo che sarebbe stata – la copia esatta di sua madre – se per amore e per un ideale di giustizia non si fosse tagliata i capelli, vestita da uomo e non avesse preso parte, dopo l’Unità d’Italia, alla lotta clandestin­a di tanti uomini del Sud, delusi dalle promesse mancate di un Paese unito nella forma, ma non nella sostanza. «Ed è esattament­e così anche oggi. Diceva DA’ zeglio: fatta l’Italia dobbiamo fare gli Italiani. Non è ancora successo».

Come ha incontrato Ciccilla?

«L’ho cercata. Mia nonna Michelina, bracciante calabrese, mi raccontava di una nostra ava brigantess­a. Lo faceva un po’ con vergogna un po’ con orgoglio, credo le invidiasse quel coraggio che lei non aveva mai avuto. Mi sono appassiona­to al tema, e ho trovato non la mia antenata, ma Ciccilla. Di lei aveva scritto anche Alexandre Dumas in un racconto in sette puntate. Si dice che avesse in mente di fare anche un romanzo su Maria e su suo marito Pietro Monaco. Non lo fece, ma quello stesso anno pubblicò Robin Hood: la storia di un gruppo di briganti che tolgono ai ricchi per dare ai poveri. In fondo è la loro storia».

Che cosa fa fare a Maria il salto da una vita grama a una di lotta?

«Un desiderio di libertà che riguarda la sua persona e il nostro Paese. Mentre Maria combatte per libera se stessa – da una famiglia senza futuro, dalle angherie di una sorella, dalla rapacità del marito – lo fa anche per annientare una nobiltà parassita e sfruttatri­ce. In Italia c’è stato questo piccolo tentativo di Rivoluzion­e francese, ma non lo si racconta perché le storie dei vinti si dimentican­o. Maria è una donna in rivolta, ha trovato dentro di sé una fiammella, qualcosa che niente e nessuno potrà spegnere. Si rende conto che nel più rigido degli inverni, lei contiene un’invincibil­e estate e questa consapevol­ezza la cambia per sempre».

Le cronache dell’epoca la descrivono immensa, fortissima, feroce.

«Non è così, ma siccome era una donna – prima di lei era vietato alle donne darsi al brigantagg­io – questo gioco funzionava. Mentre era in cella in attesa della pena capitale Cesare Lombroso andò a verificare le misure del suo cranio a sostegno della sua teoria del “delinquent­e per natura”».

Perché la storia di Ciccilla ci riguarda?

«Come persone perché la sua fiammella l’abbiamo tutti, come italiani perché se vogliamo davvero essere un Paese moderno dobbiamo sanare quella frattura tra Nord e Sud, per cui lotta Ciccilla. Nello spazio di questa crepa, in quell’assenza, fin dall’inizio, dello stato, si sono inserite le mafie, la corruzione. I miei genitori erano calabresi emigrati al Nord, io sono nato a Bresso, hinterland milanese terra della criminalit­à organizzat­a, sono figlio di quella frattura. Sono sempre stato il terrone: mi sono vergognato della mia famiglia e del mio cognome».

Essere altro e diverso è una sensazione che prova ancora?

«Forse per il lavoro che faccio, così estraneo alle mie origini e alla mia storia, ancora oggi mi sento un diverso. Questa diversità ha scavato un cammino dentro di me. Non a caso gli ultimi tre libri che ho scritto prima di questo parlano di persone altre e diverse da noi».

Uno di questi è Non dirmi che hai paura. Anche lì racconta, in prima persona, un’incredibil­e storia femminile. Che cosa le piace nel dar voce alle donne?

«Mi piacciono le storie di chi supera se stesso per farcela e spesso i racconti delle donne si prestano a questa narrazione perché, nelle logiche di potere, sono ancora, purtroppo, spesso il pezzo debole. Ma sono anche, spessissim­o, quelle che hanno il coraggio di ribellarsi a questo destino. Mi affascina questo salto, questo incendio che divampa. Diceva Silvio Pellico: “Mi avete fatto tutto, ma non potete distrugger­e me stesso”. Ci credo fermamente. Maria in cella dice: “I giorni in cui non ho rischiato la vita sono giorni in cui non ho davvero vissuto”. E forse è davvero così: viviamo nell’alternanza tra una quiete che ci fa prendere il fiato e una rivolta. I giorni in cui sono stato in rivolta sono stati i più felici».

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Un’immagine di Maria Oliverio, morta a 25 anni sui monti della Sila dopo essersi unita a un gruppo di briganti calabresi insieme al marito Pietro Monaco.
COMBATTEND­O SULLA SILA Un’immagine di Maria Oliverio, morta a 25 anni sui monti della Sila dopo essersi unita a un gruppo di briganti calabresi insieme al marito Pietro Monaco.
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Giuseppe Catozzella, Italiana (Mondadori, pagg. 322, 19 euro) racconta la breve vita della brigantess­a Ciccilla.
UNA STORIA VERA Giuseppe Catozzella, Italiana (Mondadori, pagg. 322, 19 euro) racconta la breve vita della brigantess­a Ciccilla.

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