Il ruggito della tigre atlantica
Nel 2021 l’economia Usa crescerà più di quella cinese. La revisione al rialzo delle stime sul Pil americano, proiettata verso uno strabiliante +6,5% rispetto al già robusto +4,5% delle stime precedenti, non viene da qualche analista in vena di ottimismo, ma direttamente dalla Fed, la banca centrale di Washington. Il governo cinese si ferma a prevedere un più umile +6%. Anche di fronte a tale prospettato boom, la politica monetaria rimarrà accomodante con l’economia reale, con tassi di interesse fermi fino al 2023. Le banche, tuttavia, non riceveranno ulteriori favori, per evitare di surriscaldare la ripresa e quindi i prezzi al consumo. Le ragioni di questo nuovo boom americano, che fa impallidire le timide prospettive di ripresa dei Paesi europei, sono principalmente tre, e vanno alla radice delle differenze economiche e politiche tra i due lati dell’Atlantico.
In primis, un mercato del lavoro e dei capitali molto più efficiente e omogeneo, che consente di riallocare rapidamente le risorse dai settori spiazzati a quelli in crescita. Poi, un mix di specializzazioni nel commercio internazionale che privilegia la tecnologia e i beni intangibili, che – al contrario dei beni di consumo tradizionali, prevalenti in Europa – hanno perfino beneficiato della pandemia. Infine, un assetto istituzionale federale in grado di iniettare in tempi brevi quasi 2 mila miliardi di dollari nell’economia, senza dover attendere i lunghi processi politici di un’Europa ancora frammentata. Mentre la tigre atlantica ruggisce, le gazzelle europee sonnecchiano ancora, confuse e infelici.