DARIA BIGNARDI
Che fine hanno fatto i bambini?
Io ringrazio ogni giorno di avere figli grandi, che anche se soffrono e scalpitano per le limitazioni date dalla pandemia lo fanno in un modo che io posso capire e in qualche modo condividere, un modo da quasi adulti. E penso spesso a quanto mi sarebbe dispiaciuto se avessero perso un anno di socialità, di scuola e di gioco quando andavano alle elementari o alle medie. Perché dei bambini spesso non si capisce chi sono e come stanno davvero. Ci limitiamo a cercare di proteggerli e di educarli meglio che sappiamo, ma facciamo fatica a capirli davvero, a vederli per quello che sono, forse perché sono così diversi da noi adulti: un po’ magici, misteriosi, imprevedibili. «Che fine hanno fatto i bambini?» c’era scritto su alcuni striscioni comparsi in diverse città italiane durante il primo lockdown, quando le scuole chiusero per la prima volta e la vita dei bambini e dei ragazzi sparì dal discorso pubblico. Che fine hanno fatto i bambini (Piemme) è anche l’ultimo libro della giornalista Annalisa Cuzzocrea, inviata di Repubblica ed è un’inchiesta appassionante sul perché bambini e adolescenti non siano proprio stati visti dal governo alle prese con l’emergenza Covid19. Come se fossero invisibili. Quelli di Cuzzocrea sono incontri con psicologi, scrittori, economisti, demografi, sociologi, registi, insegnanti, genitori per cercare di capire quali siano le ragioni dell’invisibilità dell’infanzia e dell’adolescenza in questo Paese. Sicuramente un problema politico; ma anche un problema culturale. Un’abitudine a vedere i figli come «bagagli appresso», cioè appendici, affidate esclusivamente alle cure dei genitori: non cittadini con dei diritti. E se tutto viene delegato alle famiglie, lo Stato si sente sollevato dall’incarico di occuparsene. Perché tanto più il figlio è centrale, quasi ossessione del nucleo familiare, più la società si ritira e non si ritiene in dovere di fornire alcun servizio, di accogliere alcun bisogno.