MICHELE MASNERI
Tre settimane da raccontare
Sembrava tutto possibile. Uscire, visitare anche estranei non congiunti, visitare amici anche più di una volta al giorno, fare sport anche di contatto, persino buttarsi in quell’attività hard core che è andare al bar e bere un cappuccino, perfino in tazze di vera porcellana, proprio lì, dentro al bar. E sedersi al ristorante, e magari anche attardarsi per strada senza un’autocertificazione (wow). Non è un documentario sulla New York anni Ottanta, era la Sardegna fino a domenica scorsa. Orgogliosissima della sua zona bianca, unica in Italia, eppure essendoci stati sembrava veramente di vivere una trasgressione pazzesca, sodoma & gomorra. Sembrava di stare allo Studio 54. È legale tutto ciò, ci si chiedeva, col divieto ormai introiettato. Non resistendo al postare qualche foto su Instagram (robe innocenti, gente che corre a bordo spiaggia, ciò che era normale fino a poco tempo fa), si è voluto vedere l’effetto che fa. Reazioni opposte e violentissime: insulti (maledetto!), incoraggiamenti (vai! Grandissimo! Uno di noi! Rimani per sempre!). Come se si fosse delle staffette partigiane riuscite a superare le linee nemiche, e non giornalisti in un luogo a un’ora di volo da Milano. Dove finiranno tutte queste energie represse quando riapriranno tutto, un giorno? Esploderà il desiderio? Ne verrà fuori almeno una letteratura e una filmografia da Almodóvar, tutta sesso e pop come nella Spagna post-franchista? O ne usciremo invece solo stanchissimi e bolsi? Intanto il sogno sardo è svanito, da lunedì sono arancione pure loro. È durata solo tre settimane, ma devono essere state belle intense.