Vanity Fair (Italy)

La terapia del MICROFONO

Come tutti i grandi comici anche MICHELA GIRAUD ha le sue zone d’ombra che esorcizza trasforman­dole in sketch. Perché raccontare senza paura le proprie debolezze, e riderne, è una cura formidabil­e

- di SILVIA PAOLI foto ROBERTA KRASNIG

Michela Giraud è mattiniera. Alle 9.30 si «affaccia» su Zoom in camicia coi fenicotter­i rosa e cracker in mano. Ma l’intervista con me non è la prima cosa della giornata che fa.

Che cosa ha già fatto stamani, Pilates?

«No, la psicologa…».

La verità sulla sua vita e l’asta del microfono sono i cardini della sua comicità all’americana, detta stand-up comedy. Quella che l’ha resa famosa e che il Covid si è mangiato (serve un palco e un pubblico). Ma che l’ha portata sulle piattaform­e web, dove ha trionfato nelle views, e in tv. In aprile la vedremo su Amazon Prime Video in Lol: chi ride è fuori (sfida tra comici a far ridere i colleghi, chi rimane serio vince, ndr) e su Comedy Central (canale Sky 128), a maggio, alla conduzione della seconda stagione di

Cnn - Comedy Central News e di un programma nato da una sua idea, Il salotto con Michela Giraud.

Spiega una volta per tutte che cosa è la stand-up comedy?

«La stand-up comedy da noi viene confusa spesso col cabaret, ma sono cose diverse: diciamo che il monologo da cabaret è più un vestito che può indossare chiunque. Certo, ogni comico lo fa suo, ma alcune battute potrebbero essere pronunciat­e anche da altri. La stand-up comedy è invece un abito cucito su misura. In bocca a me stanno bene certe battute, perché le ho scritte per una persona che ha un vissuto come me, che veste come me, che pensa come me. Se il monologo Volevo essere una fregna lo facesse Brignano, capisce, non potrebbe funzionare».

C’è molta vita vera in questa forma di comicità. Non crea problemi nelle relazioni? Per esempio… il suo fidanzato non si secca di essere chiamato in causa?

«Ci sono persone che mi hanno detto chiarament­e: “Se parli di me in monologo, ti ammazzo”. Però quelle più vicine, le mie amiche, lo sanno e lo accettano. E il mio fidanzato, Riccardo, è una persona molto intelligen­te. Tempo fa feci un pezzo dedicato in parte al mio ex e in parte a lui. E dell’ex, che tra l’altro mi ha lasciato brutalment­e, dicevo che l’avevo scelto per certe qualità “virili”. Riccardo non ha

detto niente, sapeva quando l’ho conosciuto che lavoro facevo e l’ha accettato. Non vuole ostacolarm­i in nessun modo. Per stare con me ci vuole tanta forza, tanta pazienza e tanta intelligen­za, e Riccardo – facciamo le corna – tutte queste qualità ce le ha».

C’è qualcosa di cui non parla o non parlerebbe mai?

«Ho vissuto dei momenti molto pesanti nella mia vita, di alcuni non mi sento ancora di parlare apertament­e. Però so anche che se non affronti i problemi, poi diventano un boomerang, perché vengono minimizzat­i. Ero l’altro giorno su Clubhouse – che tra parentesi è il male – e qualcuno diceva: questo è l’anno della vittima, come se esserlo fosse un demerito. La vittima è la vittima, perché dobbiamo ridimensio­narla? Farci ironia è diverso, è cercare di non farsi dominare dal dolore. Io ho una storia difficile, di cui ho parlato a sprazzi nei live. I miei monologhi non nascono per essere messi sul web, ma poi è successo e – oddio!

– mi sembrava mi avessero messo le mani nelle mutande. In me c’è una dicotomia, una Michela che ha deciso di reagire e una, completame­nte chiusa, che giudica l’altra e dice: “Ma davvero io sono stata capace di dire questa cosa di fronte a tutti?”. E poi scopro che aver parlato così apertament­e è la mia cura, e il motivo per cui le persone mi amano».

L’ironia può nascere da una situazione idilliaca, dove va tutto bene?

«Credo di sì, un’ironia più garbata, meno tagliente. Io faccio questo mestiere perché c’ho fame, ma non fame fame, che quella ce l’ho sempre, ma fame di rivalsa, di giustizia, di riconoscim­ento perché le cose non sono andate come

volevo che andassero e forse, se fossero andate diversamen­te, non sarei qui. Certo, la stand-up comedy non è una terapia ma, all’inizio specialmen­te, i monologhi facevano meglio a me che a chi mi ascoltava».

In questa epoca di politicame­nte corretto, come si fa a decidere: «Lo dico, non lo dico…»?

«Il politicame­nte corretto è dentro di me. Vanzina diceva: se vivi con certi stilemi di vita giusti per te, ti viene spontaneo sapere quello che è corretto dire o no. Se dico cose che possono risultare offensive è perché sono dentro un contesto, una storia, ogni parola ha un perché».

E poi c’è la body positivity.

«Voglio abbattere il muro dell’ipocrisia del linguaggio body positive a tutti i costi. Io mi accetto, sto bene con me stessa. Ma quando mai... nessuna si sente bene con se stessa. Molti miei spunti nascono dal fatto che non mi accetto, ma non è che per questo sto tutto il giorno col pugno sotto il mento come Il

pensatore di Rodin a chiedermi: “Perché ho la cellulite?”. Io ogni mattina mi guardo allo specchio per vedere se la pancia è cresciuta. E dico ho la pancia, però ho una bella pelle, bei capelli, bisogna accettare il tutto».

È femminista?

«Non sopporto le etichette “acchiappon­e”. Un bollino che ti metti addosso e che ti permette di poter dire o fare questo e quello. La frontiera della parità è vederci come persone, il confronto, l’ascolto. Alla fine forse sono più femminista di quanto creda, se vuol dire credere fermamente nei propri diritti, andare avanti a prescinder­e da quello che la società vuole imporci».

Far ridere stanca?

«No, è la mia salvezza. Si stanca di più il pubblico».

Chi o che cosa la fa ridere nella vita di tutti i giorni?

«Mi fa ridere la mia migliore amica Fabiola che fa i balletti con le dita. Mi fa ridere la tragedia quotidiana, la signora al mercato che dice: “Che dobbiamo fa’… qui moriremo tutti”».

È mai triste?

«Sempre. C’è un’imitazione di un mio collega, Edoardo Mecca, che fa: «Guarda Edoa’, che te devo di’, oggi me vorrei ammazza’ come tutti l’altri giorni».

L’aggettivo con cui la definiscon­o che la irrita di più e quello che le piace?

«Quello che detesto è “ciaciona”, un modo di dire che è associato alla carnalità, alla bassezza, perché certo io uso un linguaggio forte, ma mi irrita l’incapacità di vedere oltre. Quello che mi piace di più è: coraggiosa».

Per la cronaca: a un certo punto è passato Riccardo a salutarla e – a mio parere – ha pure lui le sue qualità virili. Senza offesa per l’ex. ➡ TEMPO DI LETTURA: 5 MINUTI Pagina accanto: trench, MARINA RINALDI. Gioielli, GIOVANNI RASPINI. Scarpe, DAMIANO MARINI. Make-up Alice La Rocca. Ha collaborat­o Gina Lisa Paccagnell­a.

«Non mi piace il bollino di femminista. La frontiera della parità è vederci come persone, IL CONFRONTO E L’ASCOLTO»

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Michela Giraud, 33 anni, attrice. Pensava di fare la ballerina classica, si è laureata in Storia dell’arte, ma poi ha scelto la recitazion­e.
TALENTO Michela Giraud, 33 anni, attrice. Pensava di fare la ballerina classica, si è laureata in Storia dell’arte, ma poi ha scelto la recitazion­e.
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Vedremo Michela Giraud su Amazon Prime con Lol, su Comedy Central con Cnn e con Il salotto con Michela Giraud.
TRE PROGRAMMI Vedremo Michela Giraud su Amazon Prime con Lol, su Comedy Central con Cnn e con Il salotto con Michela Giraud.

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