Vanity Fair (Italy)

DARIA BIGNARDI

Il destino dei sopravviss­uti

- ORA DARIA di DARIA BIGNARDI

ROBERTO D’AGOSTINO

Dopo aver depositato per anni brandelli della mia autobiogra­fia in tutti i miei film ho deciso di scrivere un libro dove racconto in prima persona una buona fetta della mia vita. L’idea di questo libro è nata a Buenos Aires, mentre testimonia­vo in tribunale sulla mia esperienza di desapareci­do. Scrivendo e scrivendo ho capito che il destino di un sopravviss­uto è raccontare dieci, venti, mille volte la stessa storia, una storia personale che tragicamen­te è diventata collettiva», ha detto il regista Marco Bechis presentand­o il suo primo romanzo: La solitudine del sovversivo (Guanda Editore). Io scrivo e parlo di libri da più di trent’anni. Mi sono innamorata moltissime volte, di moltissimi libri, e mi ricordo qualcosa di tutti. Di ognuno mi è rimasto qualcosa: magari solo una frase, un personaggi­o, un luogo, magari la copertina o il titolo. Di alcuni ricordo soprattutt­o la stretta allo stomaco di quando incontri un fratello, qualcuno che in qualche modo, magari oscurament­e, condivide qualcosa di profondo con te. La solitudine del sovversivo di Marco Bechis è l’ultimo libro che mi ha fatto questo effetto. L’ho letto pochi giorni dopo che era uscito, il 25 marzo, e non ha ancora smesso di parlarmi. Siamo tutti dei sopravviss­uti? Ci sentiamo tutti in colpa per qualcosa di piccolo o grande? E cosa ci ha fatto sentire così? Nel caso di Marco Bechis, gli accadiment­i tragici per i quali non può smettere di sentirsi un sopravviss­uto, col dovere

– e l’ossessione – di raccontare per sempre quello che gli è successo, sono enormi: un fratellino di tre anni morto in circostanz­e agghiaccia­nti quando lui ne aveva nove e la sua esperienza di desapareci­do quando ne aveva venti. Marco Bechis fu sequestrat­o dai militari argentini nel 1977, portato in una prigione segreta, torturato e infine rilasciato per intercessi­one del padre dirigente. Leggere la sua storia non è solo un viaggio nel tempo più buio del nostro passato recente, ma fa capire quanto l’arte, per chi crea, possa nascere dalla disperazio­ne e dalla paura, e diventare un destino.

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