Vanity Fair (Italy)

NADIA TERRANOVA

Sirene

- di NADIA TERRANOVA

O gni volta che si trova di fronte a un foglio scritto, Asmae decide d’impulso da dove cominciare

a guardarlo: se da destra verso sinistra vorrà dire che leggerà in arabo, se da sinistra verso destra invece in italiano. Le parole le sono amiche da quando è nata, da piccola teneva sempre una penna in mano: ecco cosa la distinguev­a dagli altri bambini, insieme alla mania di dondolarsi sulle sedie. Si dondolava talmente forte che una volta è caduta giù e si è rotta un polso, forse proprio il polso dove stringeva una penna, forse era così impegnata a stringerla da non preoccupar­si di proteggers­i atterrando sul pavimento. La penna, se l’aveva, era salva ma lei no: il polso fu ingessato ma Asmae era così magrolina, o così allergica alle catene, che riuscì a sfilarsi il gesso e si sentì di nuovo nuda e libera.

Quella caduta e quella liberazion­e vanno a costituire il ricordo originario di Asmae, il presagio di ciò che diventerem­o, l’evento che riconoscer­emo come un simbolo ogni volta che, da grandi, cercheremo di ricordare da dove veniamo. Due anni fa, la bambina che si dondolava troppo è stata insignita del titolo di Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica italiana, perché nel frattempo è diventata un’attivista non violenta, un’ambasciatr­ice di pace e del dialogo interrelig­ioso, una giornalist­a impegnata a denunciare il terrorismo, a raccontare le storie dei migranti e i diritti dei lavoratori e soprattutt­o il desiderio di libertà del popolo siriano. Asmae è nata due volte, sulla sua carta d’identità c’è scritto che è nata ad Ancona e ne respira il mare, ma il suo nome e il suo Dna le ricordano che è nata anche ad Aleppo, dove l’acqua non c’è, dove sono nati i suoi antenati e lei nasce ogni giorno come scrittrice. È a Oriente che si perdono le sue origini, o meglio è lì che si ritrovano, in una città titanica dove la storia è sepolta dalle macerie e dove, come lavanda che ogni giorno monda le ferite, Asmae riesce a sentire ancora l’odore di gelsomini.

Le parole, per lei, non hanno smesso di essere magiche, ha continuato a smontarle per capire il mondo, a partire da haqiqa, il termine arabo per «verità» che, ricorda, contiene la radice haq, «diritto». Nella cifra bifronte della sua scrittura, militanza e lirica non entrano in conflitto: Asmae commenta i fatti sui giornali, informa e racconta sul suo blog, ma scrive anche poesie e romanzi e anche in quelle pagine l’aria odora di macerie e ciclamini, come nella città da cui discende. Il nome Asmae, letto da destra a sinistra, significa «tutti i nomi», non deve sceglierne solo uno, per la sua prosa non servono etichette.

Qualche giorno fa, su Twitter, Asmae ha ricordato che in arabo esiste la parola che invece manca in italiano, quella per descrivere il lutto di una donna che ha perso un figlio: il dolore che per noi è senza nome nell’altra sua lingua si dice thakla. Quella parola, la riconosce sul viso di ogni madre su cui si è abbattuta, compresa la sua. Sei anni fa è morta la sorella maggiore di Asmae, Nura. Nura, mi sussurra con la sua voce da bambina, vuol dire luce.

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