CARLO ALBERTO CARNEVALE-MAFFÈ
Piano americano
Ue e Usa hanno lanciato quasi in contemporanea i rispettivi «Recovery Plan», impegnando migliaia di miliardi per rilanciare l’economia. Tre, le differenze tra i due. La prima riguarda la tempestività. In Italia, come in Europa, stiamo ancora discutendo di ristori e blocco dei licenziamenti con un piano tutto da scrivere che, se va bene, vedrà solo il 13% degli importi totali nel 2021. Il resto dei 200 miliardi verrà erogato nell’arco di 5 anni. In Usa, il piano federale accelera gli investimenti, per evitare il rischio di erogarli a crisi superata. La seconda differenza concerne la copertura finanziaria. In Italia si guarda al Recovery Plan sperando che le risorse piovano dal cielo, in America il Parlamento sa che, a ogni spesa, corrisponde una tassa futura. Il piano di ripresa è l’occasione per spostare il carico fiscale dai redditi da lavoro verso le rendite patrimoniali e i profitti aziendali, invertendo le scelte di Trump. La Ue non ha un bilancio federale autonomo, ma dipende dai contributi dei Paesi membri. Questa indeterminatezza, insieme al prolungarsi degli acquisti di debito pubblico da parte della Bce, offre la scusa per evitare di parlare di tasse. Agli italiani, Draghi ha promesso una riforma fiscale, ma si è finora astenuto dall’illustrarne i contenuti. Così i contribuenti si illudono che il debito pubblico possa espandersi indefinitamente, senza conseguenze sulle tasse. L’ultima è una differenza di merito. Con il piano «Build Back Better», gli Usa vogliono ricostruire subito e meglio le infrastrutture esistenti. Il «Next Generation Eu» punta a investire su campi nuovi (sostenibilità energetica e digitale), che daranno risultati nel lungo periodo. C’è da sperare che sia così visto che, alle prossime generazioni, lasceremo gran parte dei debiti da pagare.