FRIDAYS FOR FUTURE
I ragazzi sono pronti all’azione
I«Io non ci potevo credere, stavamo morendo e nessuno mi aveva detto assolutamente niente».
Lavinia Iovino ha quattordici anni. Ne aveva dodici quando ha scoperto la crisi climatica, grazie a un progetto scolastico chiamato Model United Nations: ragazze e ragazzi da tutto il mondo vanno all’Onu, si mettono nei panni dei delegati e imparano come funziona il mondo. Per farlo devono studiare e Lavinia è una che studia molto. Era nel gruppo sostenibilità: ha scoperto così la crisi climatica. Se Lavinia avrà dei figli, quando avranno l’età che lei ha oggi, la Terra potrebbe essere diventata inabitabile, pericolosa, senza prospettive. Dopo averlo scoperto si è agitata, sarebbe successo anche a voi. È tornata a Roma, nel frattempo stava prendendo piede il movimento dei Fridays for Future italiani. Un’adolescente svedese di nome Greta Thunberg aveva fatto un percorso simile a quello di Lavinia, aveva studiato, si era preoccupata e aveva iniziato a scioperare da sola davanti al parlamento. Un anno dopo erano milioni in tutto il mondo, tra loro è arrivata Lavinia Iovino da Roma.
«Lottare ti tira su in un modo incredibile. Sono battaglie più grandi di noi, se le combatti da sola ti schiacciano, in gruppo distribuisci il peso. Mi hanno detto: “Lavì non puoi salvare il mondo da sola”. Ma io non voglio salvarlo da sola. Siamo tanti, siamo sempre di più».
L’Italia è uno dei Paesi europei dove i Fridays for Future hanno preso più piede, ed è una notizia bellissima. Nelle piazze prima della pandemia avevi davvero la sensazione di una generazione in missione, preoccupata e colorata. Sono il movimento giovanile più significativo di questa epoca, il ’68 dell’ambiente, destinati a cambiare non solo la politica, ma anche costumi, mentalità, come vediamo il mondo. Durante il Covid, chiusi in casa come tutti, hanno perso le piazze e le masse, è stato un passaggio critico per un movimento in ascesa. Hanno usato il lockdown per studiare, hanno creato una rete di scienziati a supporto ed elaborato una piattaforma di proposte chiamata Ritorno al futuro. Sono stati a vario titolo contesi da partiti e politica, sono stati ricevuti da Conte agli Stati generali. Per comunicare meglio hanno appena deciso di nominare sei portavoce, per strutturare e proteggere il messaggio, un segnale di crescita politica.
Lavinia è la più giovane tra loro, Martina Comparelli, 27 anni da Milano, e Giovanni Mori, 28 da Brescia, i più grandi. Le loro storie spiegano bene come si è formata questa generazione. Martina ha studiato Emergenze Umanitarie, era a Londra quando il movimento è nato.
«Noi generazione Z nasciamo in un mondo in cui sembra che tutti i posti siano presi, in una guerra tutti contro tutti», racconta, «Quel modo di fare mi ha fatto male, sono finita in ospedale. Però la fragilità mi ha dato una lente diversa sul mondo. Nel momento in cui stavo peggio nascevano i Fridays for Future. Quando sono tornata in Italia è diventato la mia vita. Mi sento a casa nell’attivismo, mi ha dato quel senso di comunità che mi mancava e non mi faceva sentire a posto. Fridays mi ha salvato la vita».
Giovanni è la mente energetica del gruppo, è ingegnere e consulente ambientale, ha un podcast e un canale YouTube in cui fa divulgazione. Spiegare le cose è una delle anime dei Fridays. Per essere mobilitati, adulti e politici devono capire la portata della sfida e Mori ha un talento nel parlare di rinnovabili, decarbonizzazione, idrogeno.
«Diciamo che sono nato a pane e ambientalismo. I miei genitori sono urbanisti, mio padre si occupa di risparmio energetico, sono cresciuto in una casa in legno bioclimatico progettata da lui. Mia madre parlava di
agricoltura biologica negli anni ’80. Sono un figlio d’arte dell’ecologia». Non è l’unico, Laura Vallaro ha 20 anni, studia Scienze Forestali, viene da Chieri (Torino), non ha uno smartphone, comunica attraverso la linea fissa o Telegram da pc ed è anche lei una figlia d’arte dell’ecologia. «La mia famiglia ha sempre cercato di avere un basso impatto sul pianeta, non abbiamo l’auto, mi hanno spinto a informarmi sui problemi del clima, a vedere le conseguenze di quello che facciamo». È come se i Fridays for Future fossero, tra le altre cose, anche il miglior risultato della vecchia generazione di ambientalisti italiani, quelli che hanno lottato contro il nucleare e la caccia. Non sono riusciti a cambiare il mondo, ma forse hanno allevato la generazione che ci riuscirà.
Il mondo è cambiato nei due anni e mezzo dal primo cartello di Greta. C’è stata la pandemia, ovviamente, il primo stravolgimento globale su larga scala causato dal rapporto distorto con gli ecosistemi. «C’è una teoria della comunicazione che parla di limited pool of worry, l’attenzione è limitata e la preoccupazione su un argomento chiude fuori le altre», spiega Martina. «Ma quello che succede alla salute è tremendamente legato alla crisi climatica». Lo gridano da un anno: il Covid è l’antipasto di come potrebbe essere il futuro, se non agiamo subito per la crisi climatica. Anche il discorso ecologista è cambiato in questi anni, non è più solo il patrimonio di una minoranza di radicali, ma la sfida di tutti e questo è il grande merito dei Fridays for Future, aver acceso una conversazione di massa. «Spero che Greta un giorno venga riconosciuta come Martin Luther King, una persona che con le sue idee e la sua ostinazione ha cambiato il corso della Storia», mi ha detto una volta un altro attivista dei Fridays. Rossella Muroni, ex-Leu, oggi nel gruppo Facciamo Eco, uno dei pochi deputati ecologisti in parlamento, riconosce spesso il merito di Greta, l’aver fatto quello che alla sua generazione non era riuscito, «portare milioni di persone in piazza per il clima». E ora? Ora è un momento prezioso e delicato per i Fridays for Future italiani. C’è un ministero per la Transizione ecologica («due anni fa nessuno sapeva nemmeno cosa fosse, la transizione ecologica», dice Giovanni), il presidente del Consiglio Draghi è sembrato rivolgersi direttamente a loro quando al Senato ha parlato di «lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta». Loro, i destinatari del messaggio, sono diffidenti, esserlo è il loro compito. «Non dobbiamo abbassare la guardia, il nostro ruolo è innanzitutto vigilare, siamo stati riempiti di false promesse per anni, ora servono azioni reali, le parole non ci bastano più», dice
Michela Spina, che studia medicina veterinaria a Napoli e si è avvicinata al movimento mentre era in Erasmus in Romania. Michela ha 24 anni, viene dal Molise, «sono cresciuta a contatto con la natura, nel verde, ma non avevo la visione ampia che ho oggi, Greta è stata fondamentale, perché prima vedevo solo le cose più tangibili, come la deforestazione, ora ho il disegno più ampio».
Vogliamo essere una parte che ha il suo peso, stiamo portando la voce delle generazioni a cui è stato tolto il futuro», dice ancora Michela. In questi mesi si decide come spendere i fondi europei per la ripresa, quelli chiamati Next Generation Eu, nome che non dovremmo dimenticare. «La Next Generation non è astratta, esiste, la vedete?», chiede a me e a voi Martina. «La Next Generation siamo noi». Filippo Sotgiu ha vent’anni, è sardo e studia Matematica a Roma. Ha una mente da politico raffinato e una visione chiara su cosa succede ora che tutti parlano finalmente di ambiente. «Oggi il negazionismo si è trasformato in realismo, ci dicono: “I cambiamenti climatici ci sono, ma non esageriamo”. È un atteggiamento pericoloso». Sotgiu parla di quelli che Michael E. Mann, il grande climatologo americano, chiama «inattivisti», con le loro tattiche di «inganno, distrazione e ritardo», la spruzzata di verde sopra l’iceberg. È questo che faranno i Fridays for Future nei prossimi anni: soffiare via le spruzzate di verde e cercare la sostanza, con ogni mezzo possibile. «Il cambiamento può avvenire solo con la consapevolezza.
Ci vuole un’epifania delle masse, noi siamo qui per crearla. Il nostro obiettivo a lungo termine è rendere politicamente conveniente fare la cosa giusta, e ci si arriva solo cambiando l’opinione pubblica». Alexander Langer, il fondatore dell’ambientalismo politico italiano, diceva che l’ecologia avrà successo solo se il cambiamento sarà desiderabile. Lavinia avrà 19 anni quando avremo speso i fondi Next Generation, 23 quando sapremo se avremo raggiunto i primi obiettivi di taglio delle emissioni, 53 quando sapremo se saremo riusciti a tenere l’aumento delle temperature ben sotto i 2°C, come previsto dagli accordi di Parigi. Il cambiamento desiderabile per lei è anche questo: un futuro che non faccia paura.