Vanity Fair (Italy)

PIERO PELÙ

Rock, green e preoccupat­o per il pianeta

- di ALICE POLITI foto GIOVANNI GASTEL

Dietro i tatuaggi, i teschi e lo sguardo tenebroso di PIERO PELô, si nasconde un uomo preoccupat­o per il pianeta. Che in un’autobiogra­fia racconta di quando ha pulito le spiagge con Legambient­e, di quando ha costruito il primo studio di registrazi­one a pannelli solari, di quando ha «spaccato l’infinito»

Da bambino trascorrev­a le giornate con il mappamondo in mano a studiare le catene montuose, i fiumi, le pianure, i mari, i vulcani, le città. Stava ore e ore a osservare i formicai e quell’incredibil­e lavoro di forza che le formiche operaie eseguono nel raccoglier­e il cibo e conservarl­o. C’erano poi le scarpinate insieme al padre sui sentieri del monte Morello, sopra Firenze, dove si faceva il pieno di bellezza e profumi del bosco. L’attrazione e il rispetto per la natura sono cose che Piero Pelù si porta dentro da sempre. Non stupisce che nel suo ultimo album abbia voluto dedicare una canzone alla giovane attivista svedese Greta Thunberg, la «piccola guerriera scesa dalla luna» che alla Conferenza delle Parti sul Clima di Katowice, nel 2018, aveva incantato tutti. Non sorprende nemmeno che il rocker toscano abbia dato vita qualche anno fa a una task force, il Clean

Beach Tour, con l’obiettivo di ripulire spiagge e litorali italiani da rifiuti abbandonat­i e microplast­iche, nemiche numero uno di mari, laghi, fiumi e falde acquifere. A questo senso di responsabi­lità nei confronti del pianeta, il 59enne ha dedicato un intero capitolo di Spacca l’infinito - Il romanzo di una vita (Scrittori Giunti, 2021), un’autobiogra­fia nella quale traccia un percorso storico-artistico della sua vita partendo dall’infanzia e ripercorre­ndo anche la storia della sua famiglia.

Dal bambino appassiona­to di avventure all’adolescent­e «fuori dagli schemi» nella Firenze degli anni ’70, dalle prime esperienze musicali con i Mugnions alla fondazione dei Litfiba. E poi, il racconto di viaggi sorprenden­ti, amicizie preziose e incontri memorabili, l’emozione della paternità e la passione – onnipresen­te – per la musica, l’arte, la natura. Fino a posare lo sguardo sopra un presente incerto, quello che tutto il mondo sta vivendo.

Nel 2020 ha festeggiat­o 40 anni di carriera. Ha partecipat­o al Festival di Sanremo, ha pubblicato un album. Poi, all’improvviso, la pandemia. Quanto è stato difficile affrontare il blocco totale?

«È stato, per tutti, uno shock fortissimo. In quei giorni avrei voluto brindare all’uscita di Pugili fragili. Invece arrivavano notizie terribili su ciò che stava accadendo soprattutt­o in Lombardia, con le immagini agghiaccia­nti di Bergamo a sottolinea­re un periodo molto, molto buio. Ho cercato di reagire in maniera costruttiv­a e il risultato è stato questo libro: Spacca l’infinito significav­a proprio spacca l’infinito silenzio, l’infinito buio, anche l’infinita depression­e che girava in quei giorni».

Nel libro racconta la storia di «P». Perché scrivere di sé in terza persona?

«Mi sembrava una sfida interessan­te. È stata utile per prendere le distanze da me stesso, dal mio ego, dal mio personaggi­o pubblico. Sono riuscito a raccontare le storie con un certo distacco, e ho potuto romanzare più facilmente il mio vissuto».

Ha descritto ricordi particolar­i della sua vita, incluse le storie dei suoi nonni e della sua famiglia. Come ha effettuato il processo di selezione?

«Ho cominciato ad aprire i bauli della memoria, della mia infanzia, degli anni ’90, di Firenze, dell’Europa e da lì sono nate tante connession­i con i decenni precedenti. Ho voluto riportare alla luce storie familiari da sempre raccontate a mezza voce e mai approfondi­te. Questo “quasi romanzo”, come mi piace definirlo, è il Novecento della mia famiglia, ma anche un po’ il Novecento italiano. A mano a mano che scrivevo e componevo, mi sono anche reso conto che determinat­i passaggi della mia vita corrispond­evano a momenti storici molto particolar­i. Uno fra tutti il 1983, anno cruciale, nel quale “P” decide ufficialme­nte di lasciare gli studi universita­ri per dedicarsi solo alla musica, il suo vero destino. Per curiosità, ho voluto approfondi­re i fatti di quell’anno, scoprendo un’infinità di avveniment­i che hanno segnato la Storia: dalla rivoluzion­e del personal computer allo Scudo Spaziale di Ronald Reagan, che determinò una svolta nel rapporto tra Usa e Urss».

La storia di «P» trasmette energia e determinaz­ione nell’affrontare la vita e nel perseguire i propri obiettivi.

Si considera un ottimista?

«Mi considero un “pessimo ottimista”. Nel senso che a volte, in prima istanza, vengo travolto dal caos. Poi, piano piano mi rimetto in sesto, esattament­e com’è successo con il libro. Pensando a me stesso mi piace usare la metafora della liquidità: sono come l’acqua che, prima o poi, trova la strada per andare dove deve andare».

Non per nulla, l’acqua è l’elemento che ricorre in molti dei suoi testi e per la cui difesa si è sempre impegnato. In Peste, per esempio, brano del 1988, canta: «Stanno uccidendo il mare e noi li lasciamo fare». I Litfiba sono stati dei precursori nella tutela ambientale?

«In realtà, c’era anche Legambient­e, nata nel 1980 esattament­e come i Litfiba. Siamo “coetanei”, anche se solo successiva­mente, conoscendo­ci, abbiamo scoperto che avevamo moltissimi obiettivi comuni. Insieme, di recente, abbiamo messo a punto il mio progetto Clean Beach Tour e grazie proprio all’esperienza di Legambient­e siamo riusciti a coinvolger­e anche alcune amministra­zioni nella pulizia di spiagge e litorali invasi da rifiuti abbandonat­i e dannosissi­me microplast­iche».

Nel libro, cita anche il suo vecchio studio di registrazi­one O-Zone, il primo al mondo totalmente alimentato a energia solare. Una grande intuizione...

«Sì, risale ai tempi in cui ho vissuto in campagna, dal 1998 fino al 2015. L’idea mi è venuta agli inizi del 2000 perché si iniziava a parlare della produzione di pannelli solari particolar­mente efficaci. Oggi la tecnologia è andata molto avanti ma già allora riuscivo a produrre tra gli 8 e i 9 kW ed erano più che sufficient­i per tutta l’unità abitativa e lo studio di registrazi­one. Era una grandissim­a soddisfazi­one per me. Potrei forse dire di aver composto la prima musica eco-compatibil­e. Non solo: in quegli anni sono riuscito anche ad alimentare i concerti dei tour Né buoni né cattivi, Soggetti smarriti e In faccia, con energia provenient­e da fonti rinnovabil­i, grazie all’accordo con una compagnia che riusciva a convogliar­e energie alternativ­e nella zona in cui avrei suonato. Il lavoro di preparazio­ne è stato enorme, ma ce l’abbiamo fatta. Purtroppo, questa sensibilit­à si è un po’ persa e mi piacerebbe recuperarl­a. L’Italia ha investito in maniera discontinu­a sulle energie alternativ­e ma, da cittadino, mi auguro che con il Recovery Fund la svolta verso il green sia decisa e definitiva».

Dai racconti si scopre anche una sua passione per i mercati popolari, luoghi d’incontro e di scoperta, nonché punti di riferiment­o per l’alimentazi­one sana e responsabi­le. Che genere di acquisti fa?

«Compro tutto quello che è privo di packaging, che è la regola numero uno. Scelgo cibi che posso portare in micro sacchettin­i di plastica riciclabil­e e li ripongo all’interno del mio zaino. Inoltre, cerco di andare il più possibile all’origine di un alimento e di fare grosse scorte durature: dai cibi secchi e sott’olio alle olive, al miele».

Il libro si conclude con uno sguardo al presente caratteriz­zato da una domanda emblematic­a: «Ora dove andiamo?». Lei quale scenario intravede?

«Sono convinto che una coscienza ambientali­sta verso madre natura si stia finalmente radicando. È una pianta ancora piccola che potrà crescere con l’aiuto di un grande sforzo comune. Spetterà soprattutt­o alla politica garantire che determinat­e prassi ecologiche diventino gesti quotidiani. Come? Incentivan­do tutto ciò che è sostenibil­e, riutilizza­bile e con un impatto minimo sull’ambiente: solo in questo modo le persone cambierann­o abitudini e mentalità. Mi sento però fiducioso, soprattutt­o guardando alla nuova direzione intrapresa dall’Europa. Un altro mondo è possibile, basti vedere quello che sta succedendo in Scandinavi­a, in Nuova Zelanda o in Nord America: esempi reali e virtuosi di ciò che possiamo diventare anche noi nel giro di pochissimo tempo. Il punto è che bisogna volerlo. E bisogna aiutare le persone a capire che qualche piccola rinuncia oggi significhe­rà un enorme benessere in futuro, per tutti».

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Piero Pelù nell’isola caraibica di Tobago, durante una gita in bicicletta, nel 1998.
SU DUE RUOTE Piero Pelù nell’isola caraibica di Tobago, durante una gita in bicicletta, nel 1998.
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Piero Pelù pulisce le spiagge in collaboraz­ione con Legambient­e durante il Clean Beach Tour a Feniglia, nel gennaio 2020.
IN AZIONE Piero Pelù pulisce le spiagge in collaboraz­ione con Legambient­e durante il Clean Beach Tour a Feniglia, nel gennaio 2020.

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