Vanity Fair (Italy)

FILANTROPI­A

Fare la differenza per il bene del pianeta

- di CRISTINA MANFREDI

Progettare a lungo termine, senza lasciarsi influenzar­e dagli stimoli del momento.

Questo è stato fin dall’inizio il nostro modus operandi ed è ciò che più di tutto rende il senso del nostro impegno». Anisa Kamadoli Costa è la Chief Sustainabi­lity Officer di Tiffany & Co. oltre che presidente della Tiffany & Co. Foundation, istituita nel 2000 con l’obiettivo di convogliar­e l’impegno del marchio americano di gioielleri­a sui temi di sostenibil­ità sociale e ambientale, e che ha già elargito 85 milioni di dollari. Ventuno anni fa l’idea di proteggere i mari o spendere soldi per un’area verde nel cuore di una città non era ancora radicata e nemmeno, purtroppo, la consapevol­ezza che la Terra stava lanciando un grido d’aiuto. Oggi, in linea con le guide delle Nazioni Unite, Tiffany & Co. dichiara i suoi Obiettivi di Sostenibil­ità 2025, un programma dove spicca l’intento di arrivare tra quattro anni a tracciare il 100% dei diamanti registrati singolarme­nte (risalendo fino alla miniera di origine o alle miniere approvate del fornitore); di essere la realtà del lusso più inclusiva; di raggiunger­e le zero emissioni nette di gas serra; e di eliminare tutti gli imballaggi di plastica monouso. Mentre entro il 2021 si punta a una tracciabil­ità totale di tutto l’oro, l’argento e il platino, risalendo fino alla miniera o a chi si occupa del riciclo. Un’agenda fitta che, senza quel passo significat­ivo fatto nel 2000 in termini filantropi­ci, difficilme­nte oggi si potrebbe compiere con la stessa sicurezza.

Ha ancora senso promuovere azioni di charity?

«Qualche anno fa era stata decretata la morte della filantropi­a che avrebbe dovuto riformarsi sulla base di principi commercial­i e ragionare non più in termini di sovvenzion­i, ma di investimen­ti. Noi non l’abbiamo mai interpreta­ta così e i fatti dimostrano che la filantropi­a progettata sul lungo termine può davvero imprimere il cambiament­o necessario al mondo, perché riesce a impattare sulle comunità locali. Riguardo al business vero e proprio, sappiamo non solo di dover ridurre la pressione delle produzioni sul pianeta, ma di poter usare la nostra voce per fare sì che ciò avvenga in generale. E quanto abbiamo realizzato con la fondazione dà credibilit­à alle nostre azioni, non si tratta di greenwashi­ng».

Come contate di diventare i più inclusivi?

«Non limitandoc­i solo ad assumere diverse tipologie di persone. I messaggi che lanciamo al pubblico sono altrettant­o importanti, per questo abbiamo smesso, per esempio, di comunicare in termini di collezioni Bridal: l’amore è un concetto molto più ampio di quanto sia stato caratteriz­zato in passato».

Qual è il senso ultimo dei vostri Obiettivi per il 2025?

«I clienti possono sentirsi fieri di indossare un gioiello Tiffany perché contribuis­cono a imprimere delle svolte positive. In passato ci si accontenta­va di non recare danni, oggi la gente vuole fare la differenza, in meglio, per il mondo».

LUSSO E IMPEGNO

Anisa Kamadoli Costa, Chief Sustainabi­lity Officer di Tiffany & Co. Nelle altre foto: i celeberrim­i diamanti della maison e alcune fasi di lavorazion­e dei suoi gioielli.

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