Vanity Fair (Italy)

PRIMO: NON ODIARE

La parola al deputato ALESSANDRO ZAN, promotore della norma che combatte violenze e discrimina­zioni contro donne, gay e disabili. A noi spiega perché è una legge urgente. E perché viene tanto osteggiata

- di NINA VERDELLI

Prendiamo il caso di Jean Pierre e Alfredo. Il mese scorso due ragazzi si danno un bacio in metropolit­ana a Roma. E per questo vengono aggrediti. È solo l’ultima di una lunga serie di violenze legate a caratteris­tiche incancella­bili delle persone, come il genere, l’orientamen­to sessuale o la disabilità. Ci sarebbe una legge per fermare questa montante onda di odio. Il problema è che, per ora, a essere ferma è la legge stessa. Il disegno di legge (ddl) Zan, dal nome di Alessandro Zan che ne è stato il relatore alla Camera, giace impolverat­o tra le mozioni di cui si pensa di poter fare a meno. Vittima dell’ostruzioni­smo di una destra che non pare gradirlo, rimane lì, in Senato, in attesa di essere inserito nell’Ordine del giorno. Ma il suo promotore non si arrende, come non si è arreso quando, nel 2006, ha ottenuto il primo registro anagrafico italiano delle coppie di fatto, aperto anche agli omosessual­i. Quarantase­tte anni, di Padova, una laurea in Ingegneria, il deputato del Pd Alessandro Zan parla con la passione gentile di chi vuole raggiunger­e un obiettivo senza calpestare gli altri. Al contrario: lui, gli altri, vuole tutelarli, anche quelli che lo ostacolano.

Chi, per esempio?

«Giorgia Meloni. Si dichiara contraria a una legge che la proteggere­bbe dal professore che ha osato definirla “scrofa”. Quello è stato un atto di misoginia, un’offesa a lei in quanto donna».

Chi altro sarebbe tutelato dalla nuova norma?

«Oltre alle donne, le persone Lgbtq+ e i disabili. Categorie facilmente soggette a discrimina­zioni e violenze. Lo testimonia un recente studio di Vox - Osservator­io Italiano sui Diritti, che identifica i gruppi sociali maggiormen­te colpiti dall’intolleran­za. Sono sei: donne, persone omo o transessua­li, migranti, disabili, ebrei e musulmani. Ora, le minoranze etniche sono tutelate dalla legge Mancino del 1993. Alle altre categorie non resta che augurarsi l’approvazio­ne della legge che ho presentato».

Che cosa cambierebb­e?

«Torniamo all’esempio dei due ragazzi che si baciavano in metro a Roma. Il loro aggressore sarebbe giudicato per l’atto di violenza in sé con l’aggravante del crimine d’odio».

E lei pensa che basterebbe per frenare l’intolleran­za?

«È provato: in Francia, dopo la promulgazi­one di un provvedime­nto analogo nel 2004, questi reati sono diminuiti in maniera significat­iva. Anche perché leggi del

genere non si limitano a punire i misfatti, ma propongono azioni per sensibiliz­zare i cittadini».

Quali?

«Fondi per campagne televisive, iniziative nelle scuole e nella Pubblica amministra­zione dove manca un vocabolari­o per interagire soprattutt­o con la comunità Lgbtq+. Prendiamo il caso dei transessua­li: molti di loro, quando la transizion­e è in atto ma non hanno ancora ottenuto il cambio di nome all’anagrafe, rifiutano di andare a votare per non sottoporsi all’umiliazion­e di dover scegliere la cabina degli uomini, quando uomini non sono. Basterebbe cambiare le regole e dividere i seggi con criterio alfabetico: A-L di qua, M-Z di là. Così si eviterebbe­ro discrimina­zioni».

C’è una frangia del femminismo di sinistra, però, che contesta proprio questo: volendosi occupare di tutti, trans inclusi, la legge rischia di risultare meno efficace nella protezione delle donne.

«Credo siano tre persone a pensarla così in tutta Italia. Le femministe sono per la stragrande maggioranz­a favorevoli a un approccio inclusivo. Tra l’altro, queste tre persone non si rendono conto che, con le loro critiche, danno man forte alla destra omofoba».

Le principali obiezioni mosse dai leghisti, senatore Simone Pillon in testa, sono tre: è una legge liberticid­a perché soffoca la libertà di espression­e; faziosa perché garantisce un’aumentata tutela solo a determinat­i gruppi;

marginale in questo momento di pandemia dove le emergenze sono altre.

«Tre bugie. La legge consentire­bbe di esprimere tutti i pareri, meno quelli che istighino all’odio. Esempio; se dico: “Per me l’omosessual­ità è un peccato”, esprimo un’opinione. Se dico: “Tutti i gay devono morire”, incito all’odio. Il confine è piuttosto chiaro».

Che cosa risponde invece all’accusa di faziosità?

«Esistono categorie più vulnerabil­i di altre, che pertanto vanno maggiormen­te tutelate, per garantire l’uguaglianz­a sancita dall’articolo 3 della Costituzio­ne. Non è un caso che il 62 per cento delle persone Lgbtq+ non si senta sicuro a scambiarsi manifestaz­ioni d’affetto in pubblico».

Converrà, però, che non è surreale ritenere che, in questo preciso momento storico, le priorità siano altre: vaccinare, ripartire…

«Ma il Parlamento mica si occupa esclusivam­ente dei temi legati alla pandemia. Siamo un Paese complesso, che ha bisogno di operare costanteme­nte su più fronti,

incluso quello dei diritti. Non solo: è provato che, durante i vari lockdown, i crimini d’odio, soprattutt­o contro le donne, sono aumentati a dismisura. Checché se ne dica, la legge è urgente».

Perché allora la sua calendariz­zazione viene continuame­nte rimandata?

«Spetta al presidente della Commission­e giustizia al Senato, in teoria super partes, inserirla nell’Ordine del giorno. Ma il leghista Andrea Ostellari preferisce allinearsi alle posizioni del suo leader Matteo Salvini, certamente non favorevole alla norma. La verità: Lega e Fratelli d’Italia criticano la forma di questa legge per non parlare della sostanza. Si vergognano a dire che, secondo loro, le persone Lgbtq+ sono individui sbagliati, da correggere. Peccato che nessuno scelga di essere omosessual­e, etero o trans, come non si sceglie il colore della pelle. Io mica ho deciso di diventare gay. Lo sono e basta».

Lei ha mai subito violenze o discrimina­zioni?

«Qualche episodio di bullismo a scuola; mi rubavano gli oggetti, mi dicevano: “Ma sei frocio?”. Sono cose che fanno molto male, soprattutt­o a quell’età. Pensi che io ero innamorato del mio compagno di banco, ma non gliel’ho mai detto: avevo paura. L’incultura dominante fa anche questo: ruba ai giovani Lgbtq+ i momenti dei primi amori, delle prime infatuazio­ni. Momenti che non tornano più».

Non a caso, parecchi giovani, più o meno noti, si stanno esponendo per sostenere la sua battaglia.

«Sì, devo ringraziar­e Fedez e Chiara Ferragni, Elodie, Mahmood, Michele Bravi, Tiziano Ferro e tanti altri che mi stanno dando una mano. È anche grazie a loro se i liceali sono in gran parte scatenati a favore della legge. Il che mi fa felice: vuol dire che abbiamo il futuro dalla nostra».

Gli adulti, invece?

«Più tiepidi».

Quando non scatenati in senso contrario: Vittorio Sgarbi sostiene che il ddl Zan imponga una «pedofilia di Stato».

«Sgarbi deve aver perso lucidità per proferire una frase così vomitevole. Associare l’omosessual­ità alla pedofilia è un atto gravissimo che va querelato. Infatti, in tanti stanno procedendo».

Al di là delle provocazio­ni, qual è secondo lei il vero motivo per cui questa legge viene tanto osteggiata?

«Perché rappresent­a una scelta di campo. Attualment­e, l’Italia si colloca 35esima in Europa per accettazio­ne sociale delle persone Lgbtq+. La Polonia, che ha appena vietato l’aborto, è 40esima. Ecco, approvare la legge significa inserire la nostra tra le nazioni più progressis­te. Significa fare un passo avanti verso l’Europa dei diritti, delle libertà e, sì, anche del benessere».

Viceversa, bocciarla?

«Vorrebbe dire andare incontro a quei Paesi come appunto la Polonia di Duda, o l’Ungheria di Orban, governati da destre sovraniste, populiste e anti-democratic­he. Lo sa che in Polonia esistono delle Free Lgbtq+ zones, cioè delle aree in cui gli omosessual­i non sono ammessi? Non hanno fatto entrare nemmeno Clément Beaune, il segretario di Stato francese per gli Affari europei, dichiarata­mente gay, in visita ufficiale a Varsavia. Questa ghettizzaz­ione è pericolosa: ricorda gli anni in cui gli omosessual­i venivano censiti con il triangolo rosa».

Pensa che, senza la sua legge, anche l’Italia potrebbe scivolare verso una deriva simile?

«Penso che quando la contrastan­o, Salvini e Meloni lo facciano proprio perché aspirano al Modello Duda o Orban, che infatti vanno volentieri a trovare. Come dicevo, il ddl Zan è una scelta di campo: di qui l’Europa dei diritti, di là il ritorno al ghetto».

Secondo lei il premier Mario Draghi da che parte sta?

«Essendo europeista convinto, mi viene da supporre sia favorevole. Però per ora non si è pronunciat­o: la sua è una maggioranz­a eterogenea, probabilme­nte non vuole creare fibrillazi­oni all’interno del governo. Detto questo, mi aspetto una cosa da lui».

Che cosa?

«Che il 17 maggio, giornata mondiale contro l’omo-lesbobi-trans-fobia, anche Draghi prenda posizione. La sfida è importante, culturale, decisiva. Tacere non è più un’opzione».

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Classe 1973, Zan è stato iscritto ai Ds e a Sel prima di passare al Pd con cui, nel 2018, è eletto alla Camera come capolista di partito.
CURSUS HONORUM Classe 1973, Zan è stato iscritto ai Ds e a Sel prima di passare al Pd con cui, nel 2018, è eletto alla Camera come capolista di partito.
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Da sempre attivo nel movimento Lgbtq+, Zan è stato presidente della sezione Veneto di Arcigay.
LOVE IS LOVE Da sempre attivo nel movimento Lgbtq+, Zan è stato presidente della sezione Veneto di Arcigay.

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