Vanity Fair (Italy)

Il mondo salvato DAI RAGAZZINI

Sui loro seguitissi­mi account fanno informazio­ne sui temi di diritti e minoranze, e raccontano le loro vite, non sempre facili. Il nuovo attivismo passa dai SOCIAL di SILVIA NUCINI

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LLa sera del 21 agosto scorso Huda Lahoual, 17 anni, stava tornando a casa dalla pizzeria dove d’estate lavorava come cassiera. Il tragitto non era lungo: un quarto d’ora di treno fino a Veduggio, il suo paese, e poi dieci minuti a piedi. Non erano neanche le 9.30 ma faceva già buio, e in giro nemmeno un’anima. Quando un uomo in bicicletta le si è avvicinato – «Come ti chiami? Dai, fermati a parlare» – Huda aveva il telefono in mano. Dopo l’ennesimo invito ad allontanar­si e a lasciarla stare, la ragazza ha cominciato a filmare: 4 minuti di video che chiunque dovrebbe guardare per capire davvero che cosa sia il catcalling – parola che suona anche carina, ma che non indica altro che una molestia sessuale verbale – e vedere la violenza che nasconde. Alla fine del video, quando l’uomo in bicicletta si allontana – non prima di averle proposto, più volte, di andare da lui a scopare – Huda respira a fatica. Continuerà a farlo – respirare a fatica, piangere, non voler uscire di casa – nei giorni successivi quando quella testimonia­nza, da lei postata su Instagram, diventerà virale. Ora ha un milione di visualizza­zioni e gli account Instagram e TikTok (@riphuda su entrambi) di questa ragazza minuta e tenace sono diventati uno dei sempre più numerosi posti della rete in cui si discute di tante cose: dal razzismo al femminismo, dalla mascolinit­à tossica ai diritti LGBTQI+; dove chi non sa può fare domande senza paura di sentirsi giudicato e dove chi pensa di sapere forse dovrebbe passare per avere una fotografia dei ragazzi di oggi e del potere dei social.

Huda, nata in Italia da genitori marocchini, ha sperimenta­to nei suoi 17, pochi, anni, molte delle cose di cui parla. «Sono cresciuta con questa faccia non italiana in un piccolo paese della Brianza. Sono stata vittima di bullismo e mi sono odiata da sola: soprattutt­o i miei capelli, che bruciavo con gli acidi e la piastra per farli diventare lisci. A scuola mi dicevano: che schifo, non te li lavi?». Un pomeriggio d’estate, mentre è a casa con la sorella, Huda prende la macchinett­a e si rasa a zero. In diretta Instagram. «È stata una delle cose più belle e importanti che abbia mai fatto. Il mio modo di smettere di subire. I capelli sono ricresciut­i e io li ho visti davvero per la prima volta: erano, sono, bellissimi. Ho capito e raccontato sui social che puoi essere bella anche se non sei bianca, e liscia». Siccome, come dice lei, «se studi una discrimina­zione, ne scopri altre», e anche: «Più ti informi, più le cose ti riguardano», ha iniziato a fare attivismo con linguaggi diversi sui due social: più leggero, anche comico, su TikTok, più articolato, e serio, su Instagram. Alla fine dei suoi post o video Huda invita sempre i suoi follower (144 mila su TikTok e 60 mila su Instagram) a condivider­e le loro esperienze: «Sapere che non sei solo a vivere certe situazioni, sentirsi dire che no, quei comportame­nti non sono normali, e fanno male anche ad altri, aiuta tanto». Il suo attivismo è figlio della contrappos­izione dentro cui è cresciuta: «La mia famiglia sta a metà strada tra la libertà che ha conosciuto in Italia e la cultura tradiziona­le araba, in cui la donna soffre in silenzio. Credo sia questa idea di dover stare zitta che mi spinge a parlare. Mia madre è molto contenta, e anche orgogliosa, di quello che faccio».

Anche Salah El Ayoubi, 18 anni di Crema (@Salacca sui social) è cresciuto sulla stessa frattura culturale di Huda e,

come lei, in quello spazio ha creato la sua identità reale e social. Per i suoi oltre 77 mila follower su Instagram e 445 mila su TikTok Salacca è «un amico sul telefono. Non importa se poi non ci incontrere­mo mai, anche i rapporti virtuali sono veri», spiega. In netta contrappos­izione con gli stereotipi, per lui i social sono un posto positivo e sicuro: non ha hater; forse, dice, per il suo modo sempre gentile di porsi. A fargli più paura è il mondo fuori, dove fa più fatica a essere quello che è: un ragazzo gay che non ha voglia di nasconders­i, ma che anzi usa il make up come espression­e di sé e della sua creatività. «Nella vita vera sono stato molestato, e quando torno a casa di sera, truccato, muoio letteralme­nte di paura. Il Ddl Zan è necessario perché quelli come me non sono al sicuro e questo ci rende diversi dagli altri. Io non mi merito di avere paura, mi merito di essere libero. E se qualcuno mi fa del male il marchio odioso e specifico di quello che ha fatto deve rimanere per sempre sulla sua fedina penale».

Salah su Instagram ha inventato «Parliamone», una rubrica in cui, con delle stories degne di un media d’informazio­ne, affronta temi come l’islamofobi­a, l’abilismo, whitewashi­ng, revenge porn. «Studio gli argomenti e poi cerco di spiegarli in modo semplice. Serve tantissimo anche a me: imparo dai miei stessi contenuti. Mi piace, nel mio piccolo, fare informazio­ne e promuovere l’inclusivit­à». Questo desiderio di un mondo un po’ più aperto e più giusto è qualcosa che nasce nei suoi pomeriggi di bambino, in casa sul divano. «Guardavo tantissima tv e non trovavo mai nessuno che mi assomiglia­sse etnicament­e e sessualmen­te. Persone come me, complesse come me, nella tv italiana non sono mai esistite. Se un bambino gay non trova nessun personaggi­o in cui specchiars­i, penserà di essere sbagliato, come ho pensato io. Ma siamo nel 2021, le cose devono cambiare». Salah ha fatto coming out con sua mamma nel 2019, un gesto che ha cambiato la sua vita fuori e anche dentro i social. «Molti influencer nascondono la loro omosessual­ità per paura di perdere follower. Per me è stato il contrario: da quando l’ho dichiarato ne ho molti di più». A suo padre Salah non ha detto nulla: «Viviamo nella stessa casa, ma non abbiamo nessuna confidenza», ammette. «Davanti a lui non mi trucco, per una forma di rispetto. Sono me stesso fuori dalla porta di casa e sui miei social: spero che la mia libertà possa aiutare qualcuno a trovare la sua».

I diritti e le libertà sono i temi sui quali Rocco Toniolo si scalda di più, nella vita e anche sui social. Ventisei anni, laureato in Economia, accanito viaggiator­e fino a quando si poteva, arriva su TikTok e Instagram (@roccotnl) poco prima della pandemia, e in questo anno strano diventa amatissimo, soprattutt­o dai ventenni. Dopo il liceo, al bivio in cui è chiamato a decidere tra i sogni (la recitazion­e) o un lavoro «serio», sceglie il secondo, ma sui social recupera gli anni di teatro e le doti comiche per parlare di quello che lo interessa. «Ho cominciato facendo un video su Gesù – uno che di follower ne sa qualcosa – che sbarca su TikTok, ma oltre a far ridere mi interessa discutere delle minoranze del nostro Paese, in una delle quali mi riconosco, in quanto omosessual­e. Non sono temi facili da trattare perché la nostra è una società eteronorma­tiva e la maggior parte delle persone, quando parla di determinat­e cose, non sa nemmeno quali siano le parole giuste

«Il Ddl Zan è necessario perché quelli come me NON SONO AL SICURO. Io non mi merito di avere paura. Mi merito di essere libero»

da usare: ho capito che si possono dire cose omofobe anche senza essere omofobi. Al primo video serio tremavo di paura, poi i messaggi dei follower mi hanno incoraggia­to. I miei preferiti sono quelli di chi mi dice che, grazie a me, ha capito una cosa nuova». Rocco abita in un paesino del Veneto di quattromil­a abitanti, ma ha studiato in Germania e anche in India: viaggiare gli ha insegnato che nessuno è diverso se hai voglia di conoscerlo. «È straordina­rio, comunque, come le esperienze più difficili io le abbia vissute prendendo il pullman la mattina, per andare a scuola a Padova». Calcolando l’età media degli influencer, è uno dei più «anziani» – «Credo sia per questo che i miei follower mi chiedono consigli su qualsiasi cosa: dalla scelta dell’università a quella dei vestiti» – con il pubblico più trasversal­e – «Ho ricevuto i compliment­i anche di un insegnante di catechismo e di una suora, mi seguono entrambi» – e rispettoso: di attacchi pesanti gliene fanno pochi e comunque, dice, «dietro a uno schermo le cose negative non mi toccano. Quelle belle, invece, arrivano».

La vita vera a volte è una palestra che allena all’odio che si muove sui social. «Se l’hai già provato, ti fa sempre un pochino meno male», dice Leonardo Santuari, 19 anni, nome di battaglia @leonardosa­ntuarii su TikTok (quasi 600 mila follower), @leoosantua­ri su Instagram (124 mila). Leonardo, che studia all’istituto alberghier­o di Levico Terme (Tn), è un ragazzo transgende­r, ma ha cominciato a muoversi sui social prima di rendere pubblico il suo percorso: «All’inizio», dice, «ero solo uno come tanti». Vorrebbe continuare a esserlo, uno come tanti, ma si rende conto che, dal momento in cui ha cominciato a parlare e testimonia­re la sua transizion­e, è diventato un punto di riferiment­o, e moltissimi lo seguono solo per quello. «Ho fatto dei video per spiegare la mia storia e, quando apro lo spazio “fammi una domanda”, quasi tutti mi chiedono della transizion­e. Non mi dispiace rispondere, anche perché vedo che in giro ci sono tanta ignoranza e pregiudizi». Ogni tanto gli arrivano addosso ondate di odio: «Sei nata femmina, accettati», «Non sarai mai un vero uomo», sono tra le cose più carine che gli scrivono. «Pensano che io vada nell’angolino a piangere, ma non è così. Spesso pubblico gli insulti coprendo il nome di chi me li fa, e li uso per spiegare». Una pazienza e forza d’animo che nella vita oltre lo schermo non sempre basta. «Qualche tempo fa facevo tirocinio in un albergo. Non avevo detto nulla della transizion­e, non mi sembra sia sempre una cosa rilevante. Ma devono avermi cercato, e trovato, sui social. Così un paio di persone che lavoravano con me hanno cominciato a farmi domande sempre più aggressive, mi hanno anche chiesto di abbassare i pantaloni. Non l’ho fatto, ma quella sera non sono rientrato in stanza perché la dividevo con uno di loro: avevo paura. Per fortuna dal giorno dopo la regione è diventata rossa, il tirocinio era sospeso. No, non ho detto niente al titolare, è una brava persona». Leonardo vive in un silenzioso e perenne stato di allerta, con un ecoscandag­lio acceso che registra possibili ostacoli sommersi nelle cose di ogni giorno. «Se qualcuno mi dice andiamo a una festa, io non ci vado mai. Ho paura che qualcuno potrebbe capire chi sono, picchiarmi, farmi del male. Se passasse questo Ddl non dico che questi rischi non esisterebb­ero più, ma se succedesse qualcosa qualcuno pagherebbe». Se non avesse parlato pubblicame­nte della transizion­e la sua vita sarebbe più serena, ma non si è mai pentito di averlo fatto. Però adesso vorrebbe andare oltre, anche coi social, e buttarsi su Twitch, la piattaform­a dove si gioca online e si guarda giocare. «Mia mamma, che è tutta la mia famiglia, fa le pulizie, non abbiamo tanti soldi. Vorrei provare a guadagnare coi giochi e potermi godere un po’ la vita e Giada, la mia ragazza. Finora ogni pensiero e ogni energia sono stati per il percorso, adesso vorrei che fossero per me».

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Dalla pagina accanto, in senso orario: Rocco Toniolo, Huda Lahoual, Leonardo Santuari, Salah El Ayoubi.
CHI SONO Dalla pagina accanto, in senso orario: Rocco Toniolo, Huda Lahoual, Leonardo Santuari, Salah El Ayoubi.
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