TUTTO OK o quasi
Alzarsi dal letto e rimanere in piedi. Fare i conti con le proprie fragilità. Guardare avanti. Il terzo album di GAZZELLE parla d’amore e lancia un S.o.s.: solo l’empatia può farci uscire dal buio
Lalbum, il terzo della sua carriera, era pronto da mesi. Ma la pandemia e il clima, più che diffuso, d’incertezza l’hanno tenuto lì, in stand-by. Fino a oggi. «Meglio fuori che dentro», dice Gazzelle. E suona un po’ come «via il dente, via il dolore».
Ok: «Mi sembrava un titolo fermo, chiaro, poco interpretabile. Anche se poi, ascoltandolo bene, non è esattamente quella la prima cosa che ti viene in mente. Non è un disco proprio happy. Il cortocircuito è voluto, per sdrammatizzare un po’».
un titolo secco e definitivo. È davvero tutto ok? Nelle sonorità lo è anche, happy.
«Sì. A volte musica e parole vanno nella stessa direzione, altre no. Mi piace l’idea di farti pogare mentre piangi».
Col primo disco ti sveli, col secondo ti confermi… e col terzo ti metti davvero in gioco. Dicono.
«Non è stato difficile fare questo album, e nemmeno il secondo. La verità è che il più difficile è il primo, perché ci sbatti dentro tutta la tua fotta, tutti i tuoi sogni, le tue aspettative e le tue velleità. Se quello ti apre la strada, be’, poi è tutto in discesa. Per me fare un disco è la cosa più semplice che esista. Mi sono buttato in studio e l’ho fatto, con estrema spudoratezza».
E che cosa è difficile per lei, in questo lavoro?
«Vivere questo momento. Perché adesso sto davvero iniziando ad andare fuori di testa».
In Belva canta: «Come vuoi che sto? Non lo so nemmeno io, boh».
«Infatti. Non sto benissimo, sto in piedi e mi sforzo di
rimanerci. Anche se lo stimolo, quando mi sveglio, è quello di rimanere a letto».
Non va bene.
«Eh no, perché mi sono reso conto di quanto la musica sia davvero l’unica cosa che mi interessa. Esiste poco altro per me, e questa cosa mi sta deprimendo. Penso molto alle cose che ho trascurato negli ultimi 4 o 5 anni di fuoco».
Ossia?
«Dal mio primo disco è come se avessi messo in pausa Flavio e la mia vita personale. La musica mi fa stare bene, sì. Ma allo stesso tempo mi tiene in pugno. Comanda lei. Questa cosa mi destabilizza, mentalmente. Sto cercando di indagare perché».
Quando dice indagare, che cosa intende?
«Sto cercando di capirmi di più, anche con l’aiuto di una persona. Ho retto fin quando avevo una speranza alla quale tenermi aggrappato. Ora, però, non abbiamo nemmeno un minimo di certezze. Un giorno sei rosso, un giorno chiudono, un giorno i vaccini non funzionano… Non la stanno gestendo bene. Come se il problema fosse solo l’economia. Adesso arrivano i problemi veri, quelli psicologici. I più difficili da rimarginare».
Lei è abituato a riconoscere le sue – mi permetta di chiamarle così – fragilità?
«Sono da sempre una persona tormentata, e non so bene nemmeno da che cosa. È questa la mia benzina per scrivere canzoni. Con le mie fragilità ci ho sempre fatto i conti, incanalandole nella musica. Ma preferisco dare l’impressione di essere pragmatico, determinato, se vuoi anche forte. Caccio tutto sotto il tappeto, non mi piace farmi vedere vulnerabile».
Sbaglio se dico che le canzoni di Ok sono prevalentemente canzoni d’amore?
«È un dato di fatto».
E sbaglio se, da queste canzoni, deduco che è quasi sempre lei a essere stato lasciato?
«Sì, sbaglia. Sono canzoni di amori finiti, confusi o sospesi. Ma non è mai chiaro chi abbia lasciato chi. E non è neppure poi così rilevante. Sì, l’amore regala anche cose incredibili e bellissime, ma non sento l’esigenza di raccontarle. Per me, le mie canzoni sono un grido, forse anche di Sos».
E per chi le ascolta, invece?
«Gridiamo assieme. Penso di avere capito che dietro c’è un grosso processo di empatia: attraverso le mie parole la gente riesce a capirsi meglio, a sentirsi meno sola. A volte compresa. Forse persino aiutata».
I suoi versi sono semplici, ma evocativi e bellissimi. Uno tra i tanti, in Un po’ come noi: «Nuda come la luna». Un’immagine davvero poetica. Si sente un poeta?
«Non lo so, anche se ho scritto un libro di poesie. Mi sento un cantautore, e poi mica puoi definirti da solo, poeta. Per me anche Francesco Totti lo è. Mi piace la scrittura in tutte le sue forme e sfumature ma la canzone è quella per la quale sono più portato. Quella che mi viene più facile».
Era bravo anche coi temi, a scuola?
«Sì, a volte i professori li leggevano in classe ad alta voce».
La gratificava o si vergognava un po’?
«Andavo molto male a scuola, e quella era l’unica gratificazione in mezzo a un grande mare di nulla».
È uscito con l’album a ridosso di Sanremo, pur senza andarci. Ha rilasciato due singoli a distanza di due giorni. Lo fa apposta a fare tutto quello che nell’industria discografica non va fatto?
«Non sono matto. Ma, se posso, mi piace essere libero, imprevedibile, mi piace cercare di non annoiare. Adoro le sorprese. Farle, voglio dire».
E riceverle?
«Meno. Preferisco avere le cose sotto controllo».
Avrebbe detto, parlando del futuro: «Penso che tutto peggiorerà».
«Confermo una visione un po’ distopica del mondo, in generale... Lo pensavo prima del virus, figuriamoci adesso. Mi spaventa soprattutto la tecnologia, che avanza in maniera vorace, mangiandosi tutto. Mark Zuckerberg ha rovinato il mondo».
Una dichiarazione forte.
«Tanto non lo saprà mai».
Glielo stiamo dicendo.
«Ovviamente sono contento di avere il navigatore sul cellulare. Sono i social a non piacermi, ci hanno portato nella direzione opposta a quella che è la socialità. Ci renderanno sempre più soli e individualisti, l’informazione sarà sempre più parziale e polarizzata. E finiremo con una grande battaglia tutti contro tutti. Spero di sbagliarmi...».
Una volta avrebbe definito la sua musica «sexy pop». Forse scherzava.
«Scherzavo, ma l’hanno preso sul serio e ho continuato a ripeterlo. Parlavo del primo disco, perfetto da ascoltare mentre fai l’amore».
Ok quando ci consiglia di ascoltarlo?
«Mentre vai a cavallo. O mentre stai su un’astronave e stai andando in qualche altro posto».
Le sue canzoni sono orecchiabili. Le dispiace se lo dico?
«Credo sia una conquista. La musica è un atto popolare, e io la faccio per la gente. I virtuosismi non mi interessano. Se la ascoltassimo coi piedi, le direi che no, che non sono contento che sia orecchiabile. Ma essendo fatta per le orecchie...».
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