Vanity Fair (Italy)

La ragazza che si ribella contro il destino e le ingiustizi­e

Quattro tumori cerebrali le hanno portato via la vista. E l’Inps ha provato a portarle via l’assegno mensile. Ma lei, MARTA PELLIZZI, non si arrende. Anzi, si ribella. Contro il destino e le ingiustizi­e

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Per esempio, io non so che faccia abbia mia mamma. Cioè, lo sapevo, ma non me lo ricordo più. Dopo anni di cecità perdi l’immaginazi­one, e i ricordi visivi sbiadiscon­o». Un ricordo di se stessa lo conserva? «Nemmeno. Era il 2007 quando tutto è cominciato. Da allora credo di essere cambiata parecchio. Come, non so. Ma, se mi tocco, posso dire di aver preso qualche chiletto». A fronte del chiletto preso, in 14 anni Marta Pellizzi ha perso «la vista e la spensierat­ezza». Classe 1989, di Imola, figlia di un’operaia e di un autotraspo­rtatore, terza di quattro fratelli, sta per conseguire il diploma di geometra quando un progressiv­o offuscamen­to della visuale e insopporta­bili emicranie la spingono a fare degli accertamen­ti. La diagnosi: un «mega tumore cerebrale». Mega, cioè grande quanto un terzo della scatola cranica. Intervento d’urgenza all’ospedale Bellaria di Bologna. Massa asportata. Insieme a quella se ne va la vista, non la voglia di combattere. «Da quando sono piccola», racconta Marta con un tono che sfiora l’allegria, «non ho mai lasciato niente di incompiuto: un disegno, un compito. Figuriamoc­i se mi arrendo adesso». E infatti è sopravviss­uta a due «mega recidive», prima di imbattersi nella terza nel 2019 che, per ora, tiene sotto controllo. Intanto, si è diplomata, poi laureata in Scienze della comunicazi­one. Lavora da freelance come social media strategist. Ha scritto quattro libri tra cui Rivoluzion­e Telegram

(Dario Flaccovio Editore, 2018). E, giorno per giorno, conduce una battaglia contro l’Inps che, per due volte, ha tentato di privarla dell’assegno di invalidità.

Lei, oggi, quanto si considera invalida da 1 a 10?

«Direi 10. Ho perso quel poco di residuo visivo che avevo recuperato negli anni. I miei nervi ottici sono completame­nte atrofizzat­i».

C’è speranza che possa recuperare?

«No, ho già provato di tutto: terapie, vitamine, occhiali speciali. Niente».

Cieca per sempre: spaventata?

«Ormai è la mia normalità. L’ho accettata e non ho neanche nostalgia di quando potevo vedere».

Non le manca proprio niente?

«Forse il tramonto. Quello non lo posso percepire con gli altri sensi».

Che, immagino, si saranno potenziati.

«Molto. Ora, se cade un oggetto, so dove è andato. Se passo la mano su un ricamo, capisco il disegno».

Capisce anche meglio le persone, non potendole vedere?

«Diciamo che, con ogni individuo nuovo, parto senza i pregiudizi che la vista inevitabil­mente porta con sé. Io non vedo come uno è vestito, non posso dedurre il suo status sociale o l’orientamen­to valoriale. Parlo con Maria in quanto Maria. Mi concentro sul tono della voce, sul profumo...».

Differenze rispetto a chi, cieco, c’è nato?

«Loro sono più agili nei movimenti».

A livello caratteria­le invece?

«Siccome spesso si perde la vista a causa di gravi malattie, forse noi abbiamo una tempra più forte. Ci siamo dovuti aggrappare alla vita».

Lei a che cosa si è aggrappata?

«Alla nascita dei miei nipotini. Volevo sopravvive­re per poter passare del tempo con loro».

Ce l’ha fatta. Il prezzo da pagare, però, è stato un risveglio al buio.

«Non me ne sono resa conto subito. Ero troppo debole dopo l’intervento. Stordita dai farmaci, non riuscivo a tenere gli occhi aperti. Ho impiegato un paio di mesi per capire».

E si è arrabbiata?

«Un po’. Me la sono fatta passare però. Soprattutt­o mi è dispiaciut­o non poter tornare a scuola».

Quanto è stata ferma?

«Ho perso un anno. Mi sono diplomata l’anno dopo».

Poi, nel 2018 si è laureata.

«Molto fuoricorso! Però, dai, mi

scuso da sola perché studiare senza vedere non è sempliciss­imo».

Ha imparato il linguaggio Braille?

«No, fino ad adesso mi sono appoggiata a mia madre, che leggeva libri e appunti a voce alta e mi ascoltava ripetere all’infinito».

In qualche modo, allora, si è laureata anche sua mamma.

«Esatto, la mia discussion­e è stata molto bella perché era come se quel traguardo l’avessimo tagliato in due».

Suo padre invece?

«Faceva l’autotraspo­rtatore, in casa c’era poco. Il mio bastone è sempre stata lei. Tra l’altro, è la più arrabbiata per quello che mi è successo. Io cerco di placarla, le dico: “Non ti basta che io abbia avviato tanti progetti, che mi sia realizzata? Cosa avrei potuto fare di più?”».

Lei si sente appagata?

«Sì. Mi sarebbe piaciuto diventare architetto, ma lavorare in ambito digitale non è male. Anche se non farò questo per sempre».

A che cosa si dedicherà in futuro?

«Vorrei laurearmi in Storia e poi diventare divulgatri­ce o giornalist­a».

Sua mamma si rimetterà sui libri?

«Per fortuna ora non dovrei più chiederle aiuto: esistono dispositiv­i che, se fatti scorrere su un foglio, riproducon­o vocalmente le frasi scritte. Mi sto informando per acquistarn­e uno: per me significhe­rebbe un piccolo passo verso l’indipenden­za. Così di lauree potrei prendere altre due. O tre!».

Riesce a lavorare e studiare insieme?

«Momentanea­mente non riesco a fare nessuna delle due cose. La terza recidiva mi spossa tra mal di testa e vertigini. È più il tempo in cui sto male che quello in cui sto bene».

Se non lavora come si mantiene?

«A me spetterebb­ero una pensione di invalidità e un assegno di accompagna­mento. A inizio anno, però, l’Inps mi ha tolto entrambi».

Perché?

«Hanno giudicato che la mia fosse un’invalidità al 70 per cento, alla quale non corrispond­e alcun rimborso. Mi era già capitato dieci anni fa: ho fatto ricorso e un tribunale mi ha dato ragione».

Ora che cosa farà?

«Quando mi è arrivato il verbale della decisione, ho scattato una foto e l’ho postata su Twitter, dove sono fortissima. È scoppiato un casino. Per tre giorni mi hanno chiamato tutti. Incluso Pasquale Tridico, il presidente dell’Inps».

Per dirle?

«Che avevano già provveduto a riportare la mia invalidità al 100 per cento e a ridarmi la pensione corrispond­ente. Io gli ho risposto: “Ok, e l’accompagna­mento?”».

Che differenza c’è?

«La pensione di invalidità varia in base al reddito: da 286 a 630 euro.

L’accompagna­mento è uguale per tutti: 520 euro per pagarsi un aiuto».

Oggi, quanto percepisce?

«286 euro al mese. Per ora mi assiste mia mamma ma, un giorno non lontano, vorrei andare a vivere da sola. Ho quasi 32 anni».

Che cosa le ha risposto Tridico?

«Che l’accompagna­mento non mi spetta perché sono “migliorata”. Migliorata? Ma se ho una terza recidiva e non vedo niente! Ho fornito una dettagliat­issima documentaz­ione medico-legale che non è interpreta­bile in maniera soggettiva. Le dico solo che il medico della mia commission­e era specializz­ato in medicina orientale».

Cioè?

«Ah, non so che specializz­azione sia. Di sicuro non c’entra niente con una paziente oncologica».

Prossima mossa?

«Devo fare ricorso. E tenere viva l’attenzione sui social dove ho scoperto che queste cose capitano a tantissime persone. Mi batto anche per loro: mi faccio portavoce per tutte le vittime di commission­i incompeten­ti e avvilenti».

Avvilenti?

«In sede di esame, hanno cercato di umiliarmi con domandine spregevoli tipo: “Perché ti sei tinta i capelli visto che non li puoi vedere?”. Oppure: “Come mai fai a meno del cane guida e del bastone?”».

Lei come ha ribattuto?

«Che non tutti i ciechi optano per le stesse soluzioni. Io, per esempio, gli occhiali scuri non li voglio. Al bastone ci sto pensando adesso per questioni igieniche, così da non dover toccare muri, corrimani… Il cane guida, invece, non fa per me: è un percorso che dura almeno un anno e mezzo e per mesi devi vivere nel centro di addestrame­nto. Io ho altri progetti».

Oltre alla seconda laurea pensa mai a una famiglia sua?

«Sinceramen­te no. Forse perché non ho mai incontrato la persona giusta».

Nemmeno un amico che suscitasse il suo interesse?

«Io non ho amici. Ho tanti conoscenti, colleghi, persone con cui mi trovo bene. Amici no».

Non è rimasta in contatto con i compagni delle superiori?

«Qualcuno, negli anni, mi ha mandato un messaggino sui social. Niente di che. Non incolpo nessuno però: avevamo 18 anni quando la sciagura mi ha travolta. Ci sta che, a quell’età, si siano fatti da parte. Ci sta che non mi abbiano più chiamata».

A proposito, anche il presidente della Regione Emilia-Romagna, quando lei ha fatto scoppiare il caso su Twitter, aveva promesso di chiamarla. L’ha poi fatto?

«Bonaccini? Lo sto ancora aspettando».

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Con questo hashtag, Marta ha avviato la battaglia per il riconoscim­ento dei suoi diritti. Tra i suoi sostenitor­i, Lapo Elkann. #IONONMOLLO
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Tra una recidiva e l’altra, Marta si è laureata, ha avviato una profession­e come freelance e ha scritto quattro libri.
TRAGUARDI Tra una recidiva e l’altra, Marta si è laureata, ha avviato una profession­e come freelance e ha scritto quattro libri.

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