Vanity Fair (Italy)

San Paolo, Brasile

- di PAOLO DI PAOLO

Sostiene che il Brasile esiste solo al plurale, e perciò bisognereb­be dire «i Brasili». Lei ha cercato di raccontarl­i a partire dalle vite anonime, nascoste. Firmava una rubrica su un giornale intitolata proprio così: «La vita che nessuno vede». Lei si chiama Eliane Brum, è una reporter. Quei testi sono stati raccolti in un libro uscito anche in Italia, Le vite che nessuno vede (Sellerio). Le storie che lo compongono funzionano come un tentativo di risposta alla domanda che Brum si fa di continuo: come si dà senso a una vita? Come si crea un’esistenza umana anche laddove sembra impossibil­e?

Nel periodo in cui abitava a Brasilândi­a, un quartiere difficile alla periferia di San Paolo, restava stupita dall’ostinazion­e delle persone «non solo nel vivere, ma nel vivere con allegria». Se chiedeva alla gente dov’è la favela, dove comincia, si vedeva sempre indicare «un centinaio di metri più avanti». È qui la favela? Non era mai lì. Sempre cento metri più avanti. Forse anche questo è un segno di sopravvive­nza emotiva: non pensare che sei nel luogo peggiore. D’altra parte, non è detto che sia così: Brum prende come esempio la storia di Adriana e Luizinho – lei appena ventenne, lui disoccupat­o. Il loro matrimonio è stato reso possibile dalla mobilitazi­one dell’intero quartiere. Qualcuno ha cucinato, qualcuno ha messo a disposizio­ne la macchina, qualcun altro gli abiti. La casa della nonna della sposa è rimasta aperta in modo che chiunque potesse entrare. «Non esiste il concetto di imbucato, a Brasa». La festa si è conclusa in strada, dove Rafael, dodici anni, si è messo a raccontare a voce alta la sua impresa: un camion gli ha dato un passaggio per andare a vedere il mare. Era arrivato sull’oceano di notte. Ha voluto comunque bagnarsi i piedi. «Il mare è una roba mega-gigantesca», ha detto.

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