Vanity Fair (Italy)

A Venezia prove generali di rinascita

- di MICHELE MASNERI

Con la Biennale di Venezia tutti partono per la laguna. Non è quella d’arte, è la versione d’architettu­ra, dunque meno glamour, e di solito, per addetti ai lavori. Poi rispetto al passato non ci sono le feste, non ci sono le brochure, si sta tutti in mascherina. Contingent­ati. Eppure c’è qualcosa nell’aria. Tutti vogliono esserci. Mancava da tre anni, non due. Ma sembra un secolo, dopo che Venezia è stata deserta per così tanto tempo. Non ho mai visto così tante persone interessat­e all’architettu­ra. Ragazzi a piedi scalzi nei prati. File all’Arsenale. Euforia di spritz. Dj set distanziat­i ma non troppo. Tutta la mia bolla posta solo foto di padiglioni ai Giardini o all’Arsenale con progetti non facilissim­i da comprender­e. Tutti architetti, quindi? No. C’è voglia di esserci, di partecipar­e. È il primo grande evento del quasidopo Covid. Appena finita la Biennale si corre alla fondazione Prada o a Punta della Dogana. Si cercano eventi collateral­i. C’è voglia di uscire, di stare insieme, anche dei famigerati grandi eventi che un tempo si sarebbero evitati. Anche di ristoranti turistici che un tempo si sarebbero scartati. Anche della Biennale che un tempo incuteva timori di inadeguate­zze, tipo le «vacanze intelligen­ti», con Alberto Sordi e la sua signora che veniva scambiata per opera d’arte da improvvidi visitatori. Ma oggi basta esserci. È la prova generale, è il «Black and white ball» del dopo Covid. Tutti vogliono starci per chiudere un’epoca.

Poi verranno il Salone del mobile e gli altri grandi riti. Sono prove di normalità. Siamo pronti.

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