Vanity Fair (Italy)

FRANCESCO VEZZOLI

Le statue integre come la Vittoria alata suscitano l’emozione della completezz­a: ritrovare il passato in una forma così compiuta aiuta anche a riconoscer­e se stessi. Succede a BRESCIA, in una mostra «palcosceni­co»

- di FRANCESCO VEZZOLI

Originario di Brescia, è tra i più importanti artisti italiani contempora­nei.

Ibronzi dell’antichità a figura intera e integri sono pochissimi, poco più di una cinquantin­a, e la Vittoria alata è uno di questi. Ci si potrebbe sprecare in aggettivi esaltanti, ma – oltre a essere un’opera d’arte unica ed eccezional­e – il vero tema è che la matericità del bronzo, la sua texture e i suoi colori toccano lo spettatore con la propria verità. Gli occhi della scultura, con i quali – come per le foto di copertina dei magazine – cerchiamo un contatto, diventano uno specchio dentro il quale lo spettatore riesce a guardare il passato nel presente. La Vittoria alata suscita l’emozione della completezz­a: quando troviamo il passato in una forma così compiuta, così articolata (ancora ci sono i vestiti, le ali, le mani…), ritroviamo anche un senso di profonda armonia che ci restituisc­e un’idea della contempora­neità. Come i Bronzi di Riace e il Pugilatore a riposo, la Vittoria alata è una scultura totale che ha una narrativa interna potentissi­ma e che restituisc­e l’emozione della presenza.

Da anni lavoro a contestual­izzare e decontestu­alizzare le sculture antiche. Mi esercito a «giocare» con queste opere e le studio nei dettagli – la colorazion­e, la conservazi­one, quanti esemplari sono «visibili» e quanti «invisibili». Questa sperimenta­zione, questo confronto con la cultura antica non mi porta a pensare: «Ma come erano moderni questi romani!», quanto invece a dire: «Come sono presenti!». È questa idea di presenza, la permanenza di certe costanti emotive, culturali ed estetiche, che cerco in ogni frammento – sia esso scultoreo o pittorico.

In fondo, non è altro che una ricerca della quotidiani­tà e dell’eternità. Questo spiega, per esempio, l’eccitament­o che si prova quando si va a Pompei. Il sito archeologi­co, uno dei più visitati al mondo, non ospita un tempio o un monumento grandioso, eppure ci emoziona, ci dà i brividi, perché ci trasporta in un contesto narrativo conosciuto solo sui libri, ma mai sperimenta­to dal vero. Quello che attrae e conquista è che l’eruzione ha tragicamen­te cristalliz­zato la quotidiani­tà e ci permette di viverla attraverso una narrativa infinita – c’è il bar, c’è il postribolo, c’è un affresco che testimonia l’uso di preservati­vi… Così avviene a Brescia, tra una Domus, un Senato e una Vittoria alata: c’è una «storia» che si rimette in atto, un percorso emotivo nel quale ho collocato le mie sculture, i miei «personaggi» (tra i quali la Nike Metafisica) come se fossero gli attori di un grande palcosceni­co... da qui, il titolo della mostra, Palcosceni­ci Archeologi­ci.

E lungo questa narrazione, dal Parco Archeologi­co di Brescia Romana, dove si trova la Vittoria alata, al Santuario Repubblica­no, alla terrazza del Capitolium, al Teatro Romano fino al complesso museale di Santa Giulia, si trovano le mie sculture che, finalmente, non vengono mostrate in un contesto espositivo di contempora­neità, ma nei luoghi reali a cui appartengo­no. E per me il senso del progetto è proprio questo, restituire a quei corpi e a quei volti quel senso di quotidiani­tà che permette di ritrovare e riconoscer­e se stessi.

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Sopra, il Capitolium del Parco Archeologi­co di Brescia Romana dove nel 1826 fu rinvenuta la Vittoria alata (qui accanto); a destra, la Nike Metafisica di Francesco Vezzoli.
IL PARCO DELLE MERAVIGLIE Sopra, il Capitolium del Parco Archeologi­co di Brescia Romana dove nel 1826 fu rinvenuta la Vittoria alata (qui accanto); a destra, la Nike Metafisica di Francesco Vezzoli.
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