ANTONIO REZZA
Un attore e regista torna con la mente a quando calcava il palco del TEATRO DELLA TOSSE di Genova. E, per un secondo, ci regala il brivido che si prova stando lass•
Novarese, attore e regista. La sua opera narrativa è in corso di pubblicazione in una nuova edizione presso La nave di Teseo.
Scrivere del teatro dopo un anno di silenzio è cosa assai azzardata. L’espressione più antica dell’uomo, dire qualcosa davanti a chi guarda, attività più arcaica della musica, della pittura e di tutte le arti parallele, ha smarrito il futuro e le illusioni. Cos’è il teatro se non il corpo di chi dice di fronte a quello di chi ascolta? Fare in tempo reale ciò che un altro osserva è la dimensione originale dell’essere. L’epidemia ha decretato che chi parlava in scena non ha più parlato, rabbonito dagli emolumenti del ministro. Problema suo, di certo non mi struggo. Ma venir considerato meno di un attore di cinema, questo no, ai miei livelli non lo accetto, nell’interesse collettivo di tutti i più virtuosi. Il preambolo è d’uopo, il ricordo è ciò che resta di quel che si faceva. E tra quel che facevamo (io e Flavia Mastrella) c’era il Teatro della Tosse a Genova. Il primo incontro avvenne nel 1994, esistevano le due sale originali, la grande e la piccola. Presentammo la nostra avanguardia, le performance con i quadri di scena, che segnano l’inizio delle cose. Ricordo la stizza per essere nella sala piccina con un’opera più potente rispetto a quella programmata nel salotto capiente. Arrivavo a esibirmi malinconico, ma il risultato era esplosivo e l’emozione annullava la rabbia per le ventiquattro ore successive, quando lo sdegno ribolliva fino a nuova replica. Seguì un periodo in cui non riuscimmo a incrociare i destini della Tosse, i direttori artistici la pensano a modo loro quando invece si dovrebbe
pensarla tutti a modo mio. Aspettammo vent’anni prima di tornare. E fu baldoria di emozioni, la sala ripida fa apparire la platea incombente sull’attore, i posti sembrano di più, grazie all’abbaglio che l’inclinazione garantisce. Come San Francisco anche Genova sa farsi ostacolo, parete da scalare in senso opposto. Chi sta seduto vede il palco in picchiata, sono stato di persona nelle retrovie per sapere quel che un altro adocchia quando mi esibisco. Con il Teatro della Tosse abbiamo un rapporto di reciproca attrattiva: «Noi non andiamo altrove se voi continuate a farci venire». O quanto meno non andiamo via senza parlarne prima, non andiamo via alle spalle, il nostro altrove non sarà mai una pugnalata ma una scelta annunciata con la speranza che non si realizzi. Ci piace avere una casa in ogni città, e il Teatro della Tosse è la nostra abitazione a Genova, luogo amato come quelli di mare, l’acqua sa farsi rispettare. Alberto Savinio diceva che un uomo di mare non sarà mai completamente malvagio, a patto che, aggiungo io, sappia perdersi nel vuoto ignorando i suoi simili, che vanno abbattuti in quanto tali. Ci hanno fatto simili per non darci scampo, siamo conformi soprattutto nelle metropoli, dove l’occhio cozza sul cemento, spesso armato, ma mai completamente per giustiziare una parte di questa inconsistente umanità. In ogni caso di quelli che nel 1994 si esibivano nella sala grande, si son perse le tracce. Noi siamo ancora qua. ➡ TEMPO DI LETTURA: 3 MINUTI