PAOLO COGNETTI
Aosta, romana per aspetto e carattere, è la bellezza dei conquistatori. Ma è tra i minuscoli insediamenti in legno e pietra in quota, sui sentieri amati anche dalla poetessa ANTONIA POZZI, che il paesaggio diventa commovente
Milanese, Premio Strega 2017, è autore di L’Antonia. Poesie, lettere e fotografie di Antonia Pozzi scelte e raccontate da Paolo Cognetti (Ponte alle Grazie).
Secondo me, per capire la Valle d’Aosta bisogna tornare al I secolo a.C., quando era abitata dalla popolazione celtica dei Salassi. Altri Celti avevano colonizzato tutto l’arco alpino, erano montanari dalla lingua, cultura e religione legate alla terra e ai suoi cicli, e resistevano ai Romani con tecniche di guerriglia: finché i Romani, stanchi di avere problemi quando dovevano passare le Alpi, decisero di dare ai Salassi una punizione esemplare, perché anche i popoli vicini si arrendessero al loro dominio. Dopo il massacro costruirono una città in mezzo alle montagne, da un giorno all’altro com’era nel loro stile: quando fu fondata, nel 25 a.C., Augusta Praetoria aveva già il suo foro, il suo anfiteatro, le sue terme, il suo arco di trionfo e le sue mura. Poi circa 3.000 ex pretoriani (i soldati scelti dell’esercito romano, le guardie del corpo dell’Imperatore) vi furono trasferiti come coloni: calcolando le famiglie potevano essere 15 o 20 mila persone, per l’appunto una città intera. I Salassi, quelli che non erano stati uccisi o deportati come schiavi, si rintanarono nelle alte valli, dove in qualche modo continuarono la loro vita di montanari.
Nella nostra piccola patria, dopo più di duemila anni questa storia si legge ancora benissimo. Aosta è romana per aspetto e per carattere, perché è il centro di potere e l’unica città di questa regione montuosa che, per il resto, è composta di comuni sotto i 5.000 abitanti, sempre più piccoli via via che si sale di quota, fino ai minuscoli, eroici villaggi che in certe valli sorgono oltre i 2.000 metri d’altezza. E se c’è senz’altro una bellezza del fondovalle – non solo l’Aosta romana ma i tanti borghi e castelli lungo la Dora, dal medievale Castello di Fénis all’ottocentesco Forte di Bard – io vedo in quella bellezza la bellezza del potere, dei padroni, dei conquistatori: la ammiro, quando passo di lì, ma quella che mi commuove è la bellezza dei villaggi di legno e pietra, costruiti al limite dell’umana sopravvivenza. Come si poteva vivere lassù, a una quota in cui la neve copre ogni cosa da novembre ad aprile, tra un inverno di sei mesi e una brevissima estate per coltivare la terra? Il legno è sempre larice, l’albero dell’alta montagna, e la pietra è quella che c’è lì intorno, così è come se anche le case facessero parte dei boschi e delle pietraie. A osservare bene i villaggi si capisce che la loro posizione è stata scelta con cura: è dove il sole arriva più presto la mattina o va via più tardi la sera, dove il pendio spiana in un breve terrazzo, e al riparo dalle valanghe. Intorno si trovano i prati che sembrano così naturali, e invece sono frutto di un paziente, millenario lavoro di disboscare, spietrare, terrazzare, irrigare, concimare, veri e propri capolavori dell’uomo. Questa per me è la vera cultura della montagna ed è qui che porto un amico quando voglio mostrargli la bellezza della Valle d’Aosta. Piacevano anche ad Antonia Pozzi, questi posti: qui, nell’ottobre del 1937, la poetessa milanese è sul sentiero per Resy, in Val d’Ayas. Costruito a 2.072 metri, Resy è stato per molto tempo il villaggio più alto d’Italia a essere abitato tutto l’anno. Non so chi sia stato l’ultimo ad arrendersi, e a scendere a valle per l’inverno: ma so che lassù i Salassi non si sono del tutto estinti, io ne conosco qualcuno. ➡ TEMPO DI LETTURA: 4 MINUTI