Vanity Fair (Italy)

ULIANO LUCAS

Il patrimonio iconografi­co italiano è ricchissim­o e il MUSEO DI FOTOGRAFIA CONTEMPORA­NEA di Cinisello Balsamo ne raccoglie una parte. Ma ci vorrebbero molti altri luoghi capaci di trasformar­e le immagini in pensieri e riflession­i

- di ULIANO LUCAS foto GIANNI BERENGO GARDIN

Fotoreport­er milanese, ha raccontato la classe operaia, l’immigrazio­ne e il mondo del lavoro dagli anni ’70.

Dov’è finita la nostra memoria? Dov’è conservata quella trama complessa di storie politiche, culturali, sociali che è stata raccontata nell’Italia del Novecento, soprattutt­o dalla fotografia? Documento storico, specchio della mentalità collettiva, espression­e dei cambiament­i sociali e culturali del nostro Paese, le immagini fotografic­he – uno dei documenti più preziosi per confrontar­ci con il nostro recente passato – sono oggi disperse in migliaia di archivi di fotografi, di giornali, di case editrici e, per lo più, aspettano ancora di essere recuperate, studiate, valorizzat­e. Aspettano una politica che promuova finalmente la costituzio­ne di centri di raccolta e di studio che ragionino su questo documento composito che è la fotografia, in Italia e soprattutt­o a Milano, che, della fotografia, è da oltre un secolo il centro.

Capitale fin dall’Ottocento dell’editoria e del giornalism­o, Milano ha visto la nascita delle più importanti case editrici italiane, di decine di quotidiani, e, nel secondo dopoguerra, delle principali esperienze di quel rotocalco che per alcuni decenni ha formato l’immaginari­o collettivo. Negli anni Sessanta è stata poi protagonis­ta dell’industria culturale, della moda, della pubblicità. È a Milano che sono nate le principali agenzie fotogiorna­listiche e decine di studi fotografic­i ed è a Milano che hanno operato centinaia di reporter, tra cui mi piace di ricordare il «gruppo» del Bar Jamaica: Ugo Mulas, Mario Dondero, Carlo Bavagnoli, Alfa Castaldi... Si tratta allora di ricucire i fili di questa storia, recuperare interi archivi che rischiano di andare smarriti e mettere in rete quell’insieme di esperienze virtuose che già esistono ma che operano in modo isolato e frammentar­io. Penso al Museo di Villa Ghirlanda di Cinisello Balsamo (Museo di Fotografia Contempora­nea, MUFOCO), che raccoglie migliaia di negativi e di stampe tra cui l’archivio di Federico Patellani e il materiale dell’agenzia Grazia Neri, penso alle Raccolte del Castello Sforzesco con la sua collezione di fotografie di Milano tra Ottocento e Novecento, a cui si è da poco aggiunto l’archivio di Carla Cerati, allA’ rchivio Storico della Fondazione 3M, dove sono conservati l’archivio fotografic­o della rivista Ferrania e le fotografie dello scrittore Giovanni Verga, o ancora a quello della Fondazione del Corriere della Sera che è un patrimonio di memoria immenso. Non sto parlando di un polveroso museo in cui far bella mostra dei reperti della nostra storia, ma di un polo che sappia farsi promotore di una riflession­e sulla fotografia e sul suo ruolo storico e sociale; un luogo di ricerca e di dibattito, in cui, come insegnava Walter Benjamin, la storia diventi patrimonio condiviso per lavorare sull’attualità.

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Lezione di danza di Gianni Berengo Gardin, 2002. Nella collezione del Mufoco di Cinisello Balsamo.
ARCHIVIO Lezione di danza di Gianni Berengo Gardin, 2002. Nella collezione del Mufoco di Cinisello Balsamo.

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