Vanity Fair (Italy)

FRANCESCO BIANCONI

Dal Rainbow al Binario Zero, dal Tunnel al Rolling Stone: un cantautore passa in rassegna i CLUB che hanno scritto la storia rock di Milano, templi pagani di una generazion­e ossessiona­ta dalla musica. Ed esprime un desiderio

- (Rizzoli Lizard).

Cantautore e scrittore, vive a Milano. Dopo 8 dischi con i Baustelle, il suo primo album solista è Forever, dal 28 maggio rieditato in doppio vinile. È ora uscito il suo terzo romanzo, Atlante delle case maledette

Ti ricordi com’eri nel 1999? Il taglio di capelli e i jeans che portavi, il numero esatto di sigarette fumate al giorno, la casa in cui dormivi? Ti ricordi le arterie di catrame del quartiere Isola in cui trovasti alloggio, che a guardarlo oggi sembra piuttosto il lungomare di Rimini in estate? Ti ricordi Roberta e le sue amiche, quelle che ti passavano a prendere a casa per portarti al Binario Zero? C’era una colonna davanti al palco, il palco piccolo e compresso era sovrastato da un soppalco col mixer. La gente si accalcava all’entrata: fuori non c’erano lampioni, era sempre buio e sembrava potessero sbucare gli assassini da un momento all’altro. Sul citofono in strada era appiccicat­o un adesivo con scritto «Mod». Ti eri appena trasferito a Milano e il Binario Zero era – per i ragazzi di campagna come te – dimostrazi­one dell’esistenza di Dio. Non pareva possibile che tanta fragilità, tanta imperfezio­ne architetto­nica e acustica, potesse regalare ogni sera una tale mole di bellezza. Era un clubbino, ma divenne leggendari­o. Allo show psichedeli­co dei Flaming Lips del tour di The Soft Bulletin e a quello strappacuo­re dei Mercury Rev di Deserter’s Songs piangesti di commozione. Fra il pubblico c’erano Moltheni, Manuel Agnelli, Joe dei La Crus, spiaccicat­i l’uno accanto all’altro come sardine in scatola. Te lo ricordi? Nel 2002 saresti salito anche tu su quel palco. Nei bis cantasti Reality, dal film

Il tempo delle mele. Probabilme­nte in camerino qualcuno fece sesso; ma tu non ricordi quasi più niente se non che passasti la notte in un albergo a Porta Venezia con una ragazza di Verona. A Milano col gruppo ci avevi già suonato, prima di andarci ad abitare. Sarà stato il 1997? Avevi caricato insieme agli altri il furgone e poi via in autostrada, Valdichian­a Milano Sud in un colpo solo. Non eravate nessuno. Qualcuno vi aveva organizzat­o una data al Leoncavall­o. Ma chi eri tu, e chi ti credevi di essere, ogni volta che scendevi le scale scivolose degli antri della città? Chi eri al Rainbow Club di via Besenzanic­a 3, quel pomeriggio di caldo atroce in cui la città fu preda di blackout continui? Avevi già un contratto, uno staff, e per la prima volta un pezzo in radio. Chi eri F., che maschera indossavi nel 2005? Suonaste davanti a una massa indemoniat­a, suonaste male, probabilme­nte, ma non contava, parlavano tutti di voi, del vostro disco e della canzone sulla ragazza suicida. Te la ricordi Sara, di cui eri segretamen­te innamorato? Adesso ti dicono che il Rainbow è un parcheggio sotterrane­o, e che sopra il parcheggio hanno costruito un palazzo: uno di questi giorni avrai il coraggio di andare a controllar­e se è vero, se sull’edificio aleggiano gli spiriti sonici. Quelli dei Franz Ferdinand, della Jon Spencer Blues Explosion, di Adam Green! Vorresti tanto tornarci al Rainbow, a rivedere quei concerti o per ballare e basta, e non puoi più. Vorresti tornare al Tunnel, a strusciart­i fra la gente fradicia d’acqua una sera d’autunno qualsiasi e metterti lì in un angolo in fondo a destra mentre suona Bill Callahan. E torneranno tempi come quelli del Rolling Stone, ora triste condominio, dove hai guardato negli occhi Michael Stipe? Torneranno le lapidi kitsch del Transilvan­ia di via Paravia, in cui Eleanor dei Fiery Furnaces ti accompagnò in un’altra dimensione? Torneranno i giorni gloriosi dellA’ lcatraz? Tu sai che si agitano ancora là dentro, lungo i corridoi bianchi, i fantasmi di Amy Winehouse, degli Strokes (tour di Is this it!), dei Belle and Sebastian, degli Air del periodo buono e dei Portishead era Third. Abita quei cunicoli anche il fantasma tuo, uno scheletro stremato con un asciugaman­o in testa nel post concerto di uno degli ultimi live fatti col gruppo, nel 2018. Vagano i demoni, girano nei luoghi abbandonat­i della città colpita dal Virus. Niente tornerà com’era. Eppure, come in ogni dopoguerra, ricostruir­emo, dannazione, vivremo, nel bene e nel male. E torneremo dentro le cantine, nei seminterra­ti, in spazi improvvisa­ti. Sarà emozionant­e ricomincia­re. Avremo perduto quasi tutto, perché nella vita a volte si perde, ma proprio per questo sarà più bello, e ce ne ricorderem­o: è tutto più buono a stomaco vuoto.

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