Vanity Fair (Italy)

ILARIA TUTI

Hanno una storia antica, un idioma conservato grazie a secoli di isolamento e il Püst, un carnevale ricco di simboli della natura che rinasce dopo l’inverno: sono gli abitanti della VAL RESIA, un microcosmo che rischia di scomparire

- di ILARIA TUTI foto FRANCO SAVIO

Di Gemona del Friuli, scrittrice. Ha creato il personaggi­o del commissari­o Teresa Battaglia, protagonis­ta anche dell’ultimo romanzo Figlia della cenere.

La Val Resia è ancora una terra misteriosa, che ho scoperto chiamata tra i suoi boschi dai racconti sulla parlata particolar­e dei nativi. Nascosta allo sguardo dalle Prealpi Giulie, in Friuli, la si raggiunge costeggian­do il corso dell’omonimo torrente, tra massi erratici, duri come il carattere che serve per restare.

Il corso d’acqua si chiama Wöda in resiano, un antico idioma protoslavo dichiarato a rischio di estinzione dall’Unesco. Una lingua a tutti gli effetti, parlata da una stirpe indipenden­te dal punto di vista glottologi­co, come affermò il celebre linguista Eric P. Hamp. Per questo riconoscim­ento, i resiani stanno combattend­o da anni, assimilati per errore agli sloveni.

«Ci stanno cancelland­o», mi hanno detto, aprendomi le porte delle loro case e della speranza di avere finalmente voce, consci che una cultura chiamata con un nome inesatto è di per sé polvere. Storia antica, la loro. In seguito a secoli di isolamento, la Val Resia è stata a lungo un’isola genetica perfetta. La sola scintilla di comunanza genetica è stata trovata sulle sponde del Lago Aral, da dove si pensa siano arrivati attorno al VI secolo d.C., seguendo carovane di guerrieri unni e avari. Oggi, le borgate che compongono il comune diffuso rispecchia­no le tribù primigenie. È con emozione che i resiani mi hanno raccontato che Ella von Schultz Adaïewsky, musicologa russa, nel 1897 scrisse di aver già sentito una nenia resiana, prima di visitare la valle: nel villaggio mingrelo di Tsaesci, nel Caucaso. Quella nenia mi è parso di sentirla.

L’eredità atavica di queste genti l’ho respirata nei canti e nei balli, durante il Püst, il loro Carnevale, al suono della zïtira e della bünkula. Ho ammirato la fierezza delle donne vestite di candidi abiti a balze, ornati da nastri e campanelli­ni, e un copricapo di fiori. Donne fondamenta­li per la valorizzaz­ione del territorio, grazie a imprese che si occupano della raccolta delle erbe spontanee, come la borragine e la silene usate per il ripieno dei calcüne, o dello strok, l’aglio resiano, rosso e dolce, peculiarit­à dovuta all’isolamento e Presidio Slow Food, con cui si prepara la zuppa di carota selvatica e una delicata crema di scapi. Pietanze semplici e speciali allo stesso tempo, che ho gustato invitata alle loro tavole, grata per l’accoglienz­a fiduciosa.

In questo lembo di terra è custodito il microcosmo di un’intera nazione che lotta per il riconoscim­ento della propria identità e che fa parte della meraviglio­sa varietà di cui è fatta l’Italia. Una molteplici­tà che appartiene a tutti e che deve essere tutelata.

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Abito bianco ornato di nastri e copricapo di fiori: è il tipico costume del Püst, il carnevale resiano. La foto è stata scattata a San Giorgio, frazione di Resia.
CHAPEAU! Abito bianco ornato di nastri e copricapo di fiori: è il tipico costume del Püst, il carnevale resiano. La foto è stata scattata a San Giorgio, frazione di Resia.
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