PAOLO DI PAOLO
C’è un festival letterario che fa succedere cose straordinarie: si chiama SALERNO LETTERATURA ed è un «laboratorio di creazioni» più che un evento. Ce lo racconta il suo direttore
Romano, drammaturgo, scrittore e direttore del festival Salerno Letteratura, che si terrà dal 18 al 26 giugno.
Quando le sedie dell’atrio del Duomo si sono messe a volare, l’estate scorsa, ho temuto un inizio con il piede sbagliato. Almeno sul piano meteorologico. Ma poi il cielo di Salerno si è aperto di colpo, proprio qualche minuto prima dell’inaugurazione. Però l’idea delle sedie che volano, come le scope in Miracolo a Milano, non era male. Stavo per scrivere «Miracolo a Salerno» – e devo aggiungere che le sedie, in ogni caso, volano anche stando ferme: quando una comunità si ritrova, e ritrova i suoi spazi. E se si tratta di una comunità leggente, vuol dire che è anche una comunità «immaginante».
Come si tiene in allenamento l’immaginazione? Al festival SalernoLetteratura (nona edizione dal 18 al 26 giugno, primo ospite il Nobel Olga Tokarczuk) arrivano gli scrittori in carne e ossa, come in tutti i festival, ma anche presenze invisibili. C’è una folla di fantasmi:
gli autori «classici» che vengono evocati, raccontati, chiamati in causa. Ecco che all’elenco dei partecipanti della nona edizione – oltre 130 – bisognerebbe aggiungere una serie di ombre illustri di artisti. Che, se fai attenzione, puoi incontrare per i meravigliosi vicoli di Salerno. Dove può capitare di trovare anche cartelli e manifesti eccentrici. Su uno, davanti a una boutique, c’era scritto: “Vietato l’ingresso ai tristi”. Su un altro: “Mostrami la tua realtà pentadimensionale”.
Che realtà è?
Gente appassionata, ragazze e ragazzi concentratissimi, impeccabili, volontari del festival con le loro T-shirt arancioni. Le ansie, le risate a tarda notte, i momenti di panico, gli incontri. È questo che fa un festival: fa incontrare persone. Un gruppo di ragazzine che vuole una foto con una studiosa di letteratura classica, Eva Cantarella: «Come fosse una cantante pop!». E poi la bambina che si vantava con la madre dell’autografo avuto da uno scrittore, con la gioia negli occhi. Il colpo d’occhio sull’atrio del Duomo pieno di gente riunita lì per sentir parlare di Giordano Bruno, a pochi metri da quella che fu l’aula di Tommaso dA’ quino (il diavolo e l’acqua santa). E poi la sensazione: la città «sente» il festival.
Come omaggio al poeta Eugenio Montale, scomparso quarant’anni fa esatti, la nuova edizione si chiamerà Le occasioni. La sua raccolta contiene alcune delle sue poesie più straordinarie, e rimanda a un’idea di scrittura come accadere, avvenimento. D’altra parte un festival come questo è tutto giocato su ciò che le parole fanno esistere: storie, idee, emozioni. Ma si può dire di più: un festival crea occasioni. Funziona da innesco, attiva relazioni, opportunità di dialogo, di incontro, di collaborazione, di lavoro. Crea, per l’appunto, occasioni. L’intenzione è quella di fare un festival che non sia solo un contenitore di eventi, ma provi ad assumere il profilo del laboratorio di creazioni. Per lasciare un segno tangibile, oltre la pur nobile natura effimera di ciò che accade giorno per giorno sui palchi, nelle piazze, nei palazzi storici, per le strade, nei vicoli.
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