ANGELO ARGENTO
C’è un’area che guarda con orgoglio e vanità al resto dell’isola: ENNA, Umbilicus Siciliae per i Romani, è una terra di storia e leggende che non dimentica mai un figlio perduto
Di Enna, avvocato esperto in diritto dei beni culturali, è presidente della fondazione Cultura Italiae.
Noi siciliani proviamo un gusto irrefrenabile nell’instillare ironicamente il dubbio nelle certezze altrui, specie quando sono fallaci. Quindi, se chiedessi a un non siciliano cosa visiterebbe in Sicilia, già so cosa mi risponderebbe; elencherebbe le città d’arte e di cultura, i monumenti, il cibo, le bellezze paesaggistiche, il mare e le altre mille ricchezze della regione. Ma, sicuramente, non indicherebbe tra i luoghi magici una zona centrale, aspra, dove la terra è indomita e non si respira quell’aria marina così associabile alla Sicilia: si chiama Enna, un’area che sembra guardare con superiorità al resto dell’isola. Era stata appellata dai Romani Umbilicus Siciliae perché, in questo luogo apparentemente differente, risiedono antichi miti che si intrecciano con le storie contemporanee che riassumono in sé le caratteristiche della mia isola. La Sicilia è spesso descritta come terra di passione. Infatti qui, tra un lago e un museo, la passione è sfociata in rapimenti e ritorni, tra leggenda e realtà. In una frazione di Enna c’è il Lago Pergusa, l’ultimo naturale della Sicilia, dove querce, eucalipti e vilucchi bianchi danno rifugio a uccelli migratori, e che dà l’ambientazione al mito di Proserpina. Nella versione romana, Ovidio racconta che tale era la bellezza della fanciulla che Plutone la rapì e la portò negli Inferi, certo che suo fratello Giove l’avrebbe protetto. Ma la dea Cerere, madre della ninfa, scatenò una tale siccità sull’isola che il padre degli dei dovette assecondare il suo volere, costringendo Plutone a lasciare libera la giovane per sei mesi ogni anno affinché Cerere potesse riabbracciarla. Il primo grande rapimento d’amore nasce qui, e qui continua la tradizione di rapimenti e ritorni, tra mito e realtà seppure non più per fortuna di donne reali ma di dee, come la Venere di Morgantina. Dea che prende il nome del sito archeologico da cui è stata trafugata, è una statua dal destino simile a quello della ninfa. Venduta nel 1986 al Getty Museum di Los Angeles, il Tribunale di Enna ha poi condannato il ricettatore, costringendo il museo a restituirla. Come una moderna Proserpina, la Venere è tornata a casa, ora esposta nel Museo di Aidone, a ricordare che questa terra non dimentica un figlio perduto. La Sicilia è terra di appartenenza e di passione, dove mito e storia ci insegnano la memoria per guardare al futuro.