LAURA ANELLO
Seduti sui gradini del TEATRO GRECO DI SIRACUSA ci ritroviamo immersi in una sorta di terapia di gruppo: piangiamo, ridiamo, ci smarriamo. E, insieme, ci ritroviamo
Giornalista, è presidente della fondazione Le Vie dei Tesori, che ogni anno apre e racconta gli splendori delle città siciliane.
CÕè un attimo, quando il gong che dà inizio allo spettacolo risuona nella cava millenaria e il sole comincia la discesa verso il tramonto, in cui sembra di sentire all’unisono il sussulto dei cuori. Perché qui a Siracusa non si tratta soltanto di assistere a una formidabile recita, non si tratta di stringere il solito patto magico con il teatro: lo so che state fingendo, ma ci credo. Qui lo spettatore in quell’attimo salta d’un balzo a duemila e cinquecento anni fa. E si ritrova lì, inchiodato al suo scomodo posto sulle pietre, risucchiato dentro la Grecia antica come dentro a una macchina del tempo, come se avesse peplo, chitone, mantello, ad ascoltare le parole eterne di Eschilo, di Sofocle, di Euripide, a straziarsi il cuore per Medea, la madre che uccide i suoi figli, a soffrire accanto ad Antigone, l’eroina che sfida il potere pur di seppellire il fratello; a smarrirsi insieme a Edipo, l’uomo ignaro di se stesso come lo siamo tutti, a piangere lacrime vere per l’ultimo saluto di Andromaca al piccolo Astianatte, figlio di Ettore, condannato a essere gettato giù dalla rupe dai Greci vincitori perché niente restasse della stirpe dei Troiani. Ad ascoltare il coro, che canta, danza, si batte il petto.
Ci si ritrova nudi, senza vergogna di ridere e di piangere accanto al vicino di cavea che pure ride e piange, immemori del quotidiano, proiettati nell’eterno. A fare pulizia dei propri dolori, ad affrontare le proprie paure, a elaborare le proprie sconfitte. Gli antichi la chiamavano catarsi. Un rito che si ripete ogni anno al Teatro Greco di Siracusa, per le Rappresentazioni classiche dell’Inda (l’Istituto nazionale del dramma antico), che più di cento anni fa nacque con questa intuizione: riportare la tragedia greca nel luogo naturale in cui andava in scena nel V secolo dopo Cristo, quando Siracusa – nata da una colonia di Corinto – competeva con Atene in potenza e prestigio. L’idea, nel 1913, fu di un aristocratico visionario, Tommaso Gargallo. Non furono pochi a dargli del pazzo, come a chi volesse resuscitare un cadavere. Accade spesso a chi guarda più lungo degli altri. Ma nel 1914, prima che la Grande Guerra deflagrasse, si fece in tempo a rappresentare l’Agamennone di Eschilo. Poi è stata una storia galoppante, che ha visto passare attori come Vittorio Gassman, Elena Zareschi, Salvo Randone, Valeria Moriconi, Giorgio Albertazzi. E le traduzioni di Pier Paolo Pasolini, Edoardo Sanguineti, Salvatore Quasimodo, Vincenzo Consolo.
L’anno scorso, in tempo di Covid, al posto dei grandiosi allestimenti, l’Inda è riuscito a tenere in vita la fiammella con dei monologhi per quattrocento spettatori sistemati sulla scena, con gli attori nella cavea. A parti rovesciate. Quest’anno, seppure spostate in avanti rispetto alla consueta programmazione di prima estate, torneranno le rappresentazioni classiche dal 3 luglio fino al 22 agosto, balsamo per gli alberghi che con l’evento fanno sempre il tutto esaurito, mentre i turisti sciamano nel candore abbacinante di Ortigia, il centro storico. E respirano il profumo della città che fu patria di Archimede, capitale dell’Impero bizantino, oggi Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Il pubblico di Siracusa attende, mai come quest’anno, per elaborare la stagione del Covid. Attende Clitennestra, Oreste, Elena, eterni compagni di strada. Per rinascere con loro.