In piazza per una protesta che non ha precedenti
Studenti, cittadini di ogni classe sociale, comunità indigene, femministe... Da più di un mese, la COLOMBIA si rispecchia nelle sue strade, invase dai colori di una protesta che non ha precedenti
SSusana Gómez, che tutti chiamano Susana Boreal, ha pensato che doveva fare qualcosa. È una giovane direttrice d’orchestra e tutto quello che possiede è la musica. Allora ha fatto girare un messaggio su WhatsApp tra i musicisti del conservatorio, delle orchestre e delle band di Medellín: appuntamento al Parque de los Deseos, per il giorno dopo. Sono arrivati in 200, ognuno col proprio strumento. Il compositore David Gaviria aveva anche preparato la partitura: l’inno nazionale mescolato con la Marcia Imperiale di Star Wars. La piazza è esplosa. «Questo è il potere della musica», ha detto. «Qui non si investe in musica e in arte, e con la pandemia tutto ci è crollato addosso. La Colombia ha bisogno di cambiamento, è tempo di nuove opportunità». Nelle stesse ore, anche a Bogotá si mobilitavano gli orchestrali della Filarmonica, improvvisando un concerto sotto il monumento di Almirante Padilla. Dal 28 aprile i colombiani si sono dichiarati in Paro Nacional, la protesta generale: non li ha fermati né la polizia antisommossa, né la terza ondata di pandemia. Anzi. Da quel giorno, un’onda civica ha travolto il Paese, anche nelle città più piccole e remote. E spesso è una festa di popolo.
La miccia è stata una riforma fiscale che avrebbe colpito i ceti sociali più bassi, qui dove l’un per cento della popolazione tiene stretto il 51 per cento delle ricchezze di tutti. Poi le ragioni si sono moltiplicate e ognuno ne ha portata una che gli altri facevano propria. I professori e gli studenti per il sistema di educazione pubblica; medici e dottori per quello sanitario già precario e poi al collasso con la pandemia; i braccianti sopraffatti dai latifondisti; gli ambientalisti contro il saccheggio di terre e fiumi; le comunità native in balìa di narcotrafficanti, paramilitari ed esercito, che spesso si confondono. La Colombia si è abbracciata in queste settimane come mai si era visto. Ong, sindacati e associazioni di quartiere. Attori e cantanti hanno speso la loro fama, rilanciati dai tweet di Shakira e persino di Justin Bieber. Gli studenti a frotte. Dalla Universidad Nacional, quelli di Arti Visive girano con un grande lenzuolo patchwork. Spiega Karina: «Invitiamo tutti a cucirne un pezzo, così è diventato lungo quasi otto metri. È un modo per sentirci uniti». L’ultima volta lo hanno appeso al ponte de Los Heroes, come una bandiera colorata e comune.
Gli scontri, le violenze e la brutalità della polizia hanno finito per nascondere l’enorme mobilitazione pacifica. Lo stesso materiale che incrimina gli abusi commessi dagli agenti (e a volte da civili che sparano in alcuni quartieri per le classi alte) viene in gran parte dai cittadini che filmano tutto, dalle finestre e dalle porte di casa, o lungo i cortei.
Le nonne si appoggiano ai bastoni guardando negli occhi i militari, che possono essere i loro nipoti. Le donne, soprattutto le più giovani, hanno reagito con durezza e inventiva, come le attiviste della Fundación Nydia Erika Bautista, protagoniste di sit-in dove mettono in scena azioni teatrali, coinvolgendo tutti. Quella delle donne è una vera marea rosa, che si è ingrossata soprattutto dopo che le Ong sul campo, come Temblores e Indepaz, hanno documentato quasi 3.400 casi di violenza indiscriminata, 1.500 detenzioni