Vanity Fair (Italy)

In difesa delle famiglie «diverse»: l’importante è dare amore

Alla vigilia degli Europei, l’attaccante della Nazionale CIRO IMMOBILE ci prende in contropied­e in un’intervista a tutto campo, dalla difesa delle famiglie «diverse» al DDL Zan. Perché l’importante è dare amore, il resto non conta

- di FEDERICO ROCCA foto AMINA MARAZZI GANDOLFI servizio PINA GANDOLFI

Giochiamo a carte scoperte: ho da poco capito (forse) che cosa sia un fuorigioco. Non abbastanza per azzardare analisi tattiche o esibirmi in commenti tecnici con l’attaccante di punta della Nazionale. Non parleremo molto di calcio: «Meno male, che bella notizia». Sembra sollevato, Ciro Immobile. Sa di essere l’uomo che potrebbe fare la differenza agli Europei 2020 che, slittati di un anno causa Covid-19, prenderann­o il via l’11 giugno a Roma, proprio con gli Azzurri chiamati a rompere il ghiaccio contro la Turchia. Anche se non lo dà a vedere, è probabile (leggi: certo) che ne avverta la responsabi­lità.

Ricorda la sua primissima volta su un campo importante?

«A 17 anni con la Primavera della Juventus: un’emozione enorme. Ma non è allora che mi sono sentito arrivato».

E quando è stato?

«Ho iniziato a crederci un po’ quando ho conquistat­o il titolo di capocannon­iere in Serie B col Pescara. Ma sul serio ci ho creduto da capocannon­iere in Serie A, col Torino».

Che cosa significa «essere arrivato»?

«Sapere veramente chi sei e farti conoscere per quello che sai fare in campo. Ma quello che conta davvero, in questo gioco, è la continuità. Ne ho visti tanti, anche molto bravi, che non avevano la testa per reggere a un certo livello».

Lo chiama gioco.

Ride. «Ho iniziato a 4 anni, a quell’età è un gioco».

Quando è diventato uno sport?

«A 18 anni, in C2, quando ho iniziato a giocare contro colleghi più grandi che dovevano portare la pagnotta a casa».

Ciro a 4 anni come era?

«Molto vivace. E simpatico, dice la mia mamma. Volevo sempre stare al centro dell’attenzione. Anche ora, eh».

Anche suo padre giocava a calcio.

«Nelle categorie inferiori, ma nel frattempo ha sempre lavorato. Erano 11 fratelli, servivano i soldi».

Ha dichiarato: «Mi piacerebbe accompagna­re i miei figli verso i loro sogni, e non spingerli. Come hanno fatto i miei genitori con me».

«Mio padre amava il calcio, avrebbe anche potuto forzarmi. È un grande intenditor­e, ha capito che avevo una dote. E invece non mi ha mai fatto sentire la pressione addosso. Ha sostenuto una passione che, anche se mi era stata trasmessa da lui, era profondame­nte mia. Ha avuto l’intelligen­za di non dirmi mai che ero più bravo degli altri».

Non lo diceva, ma lo pensava.

«È molto critico con me. Un po’ di giorni fa mi ha detto: “Secondo me devi cambiare il modo di tirare i rigori”. Ne avevo sbagliato uno importante...».

È nato e cresciuto a Torre Annunziata.

«La mia è una bella città, ma non facile. Vedevo cose che i bambini non dovrebbero vedere, ho visto amici perdere la libertà, o anche la vita, a causa di gravi errori commessi». Che tipo di errori? «Spaccio, per esempio. Molti di loro hanno fatto soldi facili, tanti, vendendo cose che non dovevano vendere, o facendo cose che non dovevano fare».

A 15 anni è facile farsi sedurre da quel tipo di tentazione?

«Non per quanto mi riguarda. Ho sempre cercato di avere amici migliori di me».

È ricco e famoso: come si riconoscon­o i veri amici?

«Ti devi fidare. E sperare di non essere mai tradito. Possono esserci incomprens­ioni, momenti nei quali le cose non vanno come vorresti... ma è lì che si riconoscon­o gli amici. La cosa importante è frequentar­e persone che non ti mettano in difficoltà per il ruolo che hai. Per i giovani sono un esempio; non posso permetterm­i amicizie sbagliate».

Lei e sua moglie Jessica avete condiviso l’account Instagram fino al 2018. Come mai?

«Guardi, ci abbiamo pensato un po’ prima di dividerlo. La gente ci ha conosciuto sui social come la famiglia perfetta, da Mulino Bianco. Non è stata una decisione facile».

Ma non mi stupisce che abbiate deciso di avere ognuno il proprio account, quanto che ne aveste uno condiviso.

Interviene Jessica, fino a ora al suo fianco. Silenziosa, uno sguardo a lui e uno a Mattia, il terzogenit­o della coppia: «Condividia­mo tutto, io e Ciro. La verità è che ci siamo iscritti a Instagram appena nato il social, e lo usavamo per vedere le foto di genitori e amici. Ci è dispiaciut­o “separarci”. In migliaia ci hanno chiesto se avessimo divorziato».

L’avete definita «perfetta». Ma davvero non c’è una piccola crepa nella vostra famiglia?

Jessica prende le redini dellÕinter­vista: «La famiglia perfetta

non esiste. Esistono famiglie che si costruisco­no ogni giorno. Anche noi litighiamo per delle cretinate, ma ci riconoscia­mo uniti proprio dopo le discussion­i, nella capacità di capirci e nella forza di venirci incontro».

L’ultima discussion­e?

Ciro: «Glielo dico io. Litighiamo per un motivo molto semplice. Abbiamo tre figli e io arrivo sempre dopo di loro. Per me restano i 5 minuti alla fine della giornata. Vorrei che mia moglie mi dedicasse un po’ di tempo in più».

Jessica: «Eh no: l’ultima vera lite è nata perché ho messo il pigiama sul portabianc­heria in bagno. E lui si è incazzato».

Dopo tre giorni che ha conosciuto Jessica, le avrebbe detto: «Se avrò dei figli, li avrò con te».

«Vero. Sesto senso?».

O un modo per intortarla?

«Poteva sembrare, sì. Un mese dopo il fidanzamen­to, l’ho lasciata perché volevo capire se fosse davvero quella giusta. Sa, non ero mai stato seriamente con una ragazza. Dopo una settimana mi è stato chiaro che sì, era lei».

In effetti di figli ne avete fatti tre. Siete stati anche ospiti della prima edizione degli Stati Generali della Natalità.

«Ci siamo trovati subito d’accordo, su questo. Abbiamo una certa stabilità economica, tanto amore da dare... Perché non avremmo dovuto farli?».

Papa Francesco vi ha benedetto per il quarto.

«Ci metta una buona parola pure lei, non si sa mai…».

Siete molto credenti. In quali valori vi riconoscet­e?

«Nel rispetto, nell’umiltà, nella solidariet­à nei confronti del prossimo. Cerco di essere un buon cattolico. Anche se la domenica ho spesso da fare, e non vado in chiesa…».

Ha definito la vostra famiglia anche «tradiziona­le». Cosa pensa delle altre tipologie di famiglia di cui si parla molto?

«Se hai da dare amore a un’altra persona, o a un figlio, è giusto poterlo fare. Non bisognereb­be nemmeno parlarne come di “famiglie diverse”».

Jessica spalleggia: «Il figlio è di chi lo cresce, in tutti i sensi. Che si tratti di una coppia uomo e donna, oppure no. Dove c’è amore, c’è una famiglia».

I calciatori sono molto popolari, ma di rado mettono a disposizio­ne la loro visibilità per tematiche come questa.

«Per la paura di quello che può succedere dopo. Ha mai sentito un calciatore parlare di politica? Quando posso sostenere messaggi coerenti con il mio pensiero, non mi tiro indietro».

Per esempio?

«Mi sono schierato contro la violenza sulle donne».

Prenderebb­e posizione a sostegno del DDL Zan?

«Assolutame­nte sì».

Gli ambienti ultrà sono terreno fertile per rigurgiti neofascist­i. Vale anche per la sua squadra, la Lazio. Calciatori e società dovrebbero condannarl­i, una volta per tutte?

«La Lazio l’ha fatto, così come altre squadre, con una serie di comunicati chiari e forti, ribadendo quotidiana­mente di non accettare situazioni del genere. A Torre Annunziata, poi, c’è l’associazio­ne Aicovis contro la violenza negli stadi. Io ne faccio parte come socio».

Perché la tifoseria calcistica, a differenza di quella di altri sport, troppo spesso è autrice di violenze inconcepib­ili?

«Il calcio, in Italia, è lo sport più importante. Le dirò: forse gli si dà troppa importanza. Alla fine è un gioco. Forse la troppa passione, il troppo amore per una squadra portano a fare cose ingiustifi­cabili. Non mi so dare altre spiegazion­i: è pura follia ammazzare per una partita a calcio».

Gli stereotipi sui calciatori abbondano. Proviamo a infrangerl­i. Il primo: hanno sempre mogli bellissime.

«Eh sì, in questo ci rientro».

Si dice che non leggano.

«Non è vero. Ho appena finito due libri di Saviano».

Si dice che amino fare la bella vita.

«Vero. Amo le macchine: sono passato dalla Porsche allA’ udi, dalla Ferrari alla Lamborghin­i che ho adesso. Nella prossima vita potrei darmi alla Formula 1».

Ha battuto molti record. Quale le manca?

«Coi record personali direi di essere davvero a posto. Ora vorrei vincere qualcosa di importante a livello di squadra. E anche con la Nazionale».

Gli Europei potrebbero essere una buona occasione?

«Sono ottimista. In competizio­ni così brevi quel che conta è essere un buon gruppo unito. Noi lo siamo».

Gli italiani sono ancora innamorati della Nazionale?

«Adesso sì, o almeno voglio crederlo. E spero un po’ anche per merito mio. Dovrebbe essere questo l’obiettivo di un giocatore: regalare emozioni».

Faccia gol, allora. È facile. Questo l’ho capito anch’io.

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L’attaccante della Lazio e della Nazionale Ciro Immobile con la moglie Jessica Melena. Entrambi nati nel 1990, si sono sposati nel 2014. AZZURRO
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