Vanity Fair (Italy)

Trasforma la sua vita in canzoni

Quando era adolescent­e, gli diceva che era brutto. Oggi gli raccomanda di amare se stesso. Da sempre, MARCO GUAZZONE trasforma la sua vita in canzoni

- di VALENTINA COLOSIMO foto FRANCESCO ORMANDO

La pagina su Wikipedia recita: «Marco Guazzone nasce nel 1988, di origini caraibiche». Caraibiche? No, non è vero. «È uno scherzo che mi hanno fatto dei tizi di una radio che mi stavano intervista­ndo e pensavano che fossi piemontese.

Io gli ho risposto che allora, potendo scegliere, avrei preferito avere discendenz­e caraibiche e loro lo hanno scritto su Wikipedia», spiega. Marco Guazzone è invece romano da generazion­i, quartiere Esquilino, la prima Chinatown italiana, a due passi dalla stazione Termini, dove i veri viaggiator­i vanno e vengono. Lui racconta di viaggiare spesso con la musica, nei tour in giro per l’Italia ma soprattutt­o in quei viaggi creativi che sono il fulcro della vita di uno che ha sempre voluto una cosa nella vita: scrivere canzoni. In diverse forme, così come succede spesso agli artisti di oggi: con una band prima (gli Stag, visti anche a Sanremo giovani nel 2012) e oggi da solista, dopo che Elisa lo ha scoperto e prodotto una canzone (ultimo singolo: Ti vedo attraverso), ma nello stesso tempo per colonne sonore cinematogr­afiche, per spot, per progetti artistici e per le sfilate.

Come ha conosciuto Elisa?

«Una storia incredibil­e. Io la seguo da sempre: lei rappresent­a, tra le altre cose, l’artista italiana credibile anche in inglese, che è ciò a cui aspiro a diventare. Insomma, un giorno apro la posta elettronic­a e mi trovo questa mail: Ciao Marco, sono Elisa. Ma Elisa chi? Non ho amiche che si chiamano così… Mi riempiva di compliment­i e mi chiedeva di aprire un suo concerto a Lucca, era il 2014».

Come l’ha scoperta?

«Su YouTube: aveva visto dei miei video. Poi ci siamo conosciuti, ho duettato con lei in alcuni suoi concerti e a un certo punto si è innamorata di una mia canzone e si è offerta di produrla: Con il senno di poi, il mio debutto solista».

La band, gli Stag, si è sciolta?

«No, ci sono e collaboria­mo, ma ora sento di volermi mettere in gioco da solo. La band è anche uno scudo, ti protegge molto, e io finalmente ho fatto pace con la mia faccia».

Che cosa c’è che non va nella sua faccia?

«A Sanremo giovani spingevano per farmela mettere sulla copertina del singolo, ma io avevo litigato ferocement­e: ho sempre avuto il timore che legare la musica alla mia immagine, l’immagine di un ragazzo carino, togliesse credibilit­à al progetto».

Poi ha cambiato idea o si è solo rassegnato?

«Mi sono riconcilia­to: usato bene, l’aspetto è un’arma importante nel mondo di oggi che è fatto di immagini. Poi, in realtà, per tanti anni ho creduto di essere brutto: troppo alto, magro, in discoteca ero quello che stava sui divanetti».

Ti vedo attraverso parla di uno specchio.

«Mi sono immaginato che, per una volta, è lo specchio che parla a me, e non il contrario. È una canzone che racconta l’inquietudi­ne e lo smarriment­o vissuti in quest’anno di pandemia».

Che cosa le dice lo specchio?

«Si lamenta del fatto che non riesco a vedere la bellezza delle cose e mi dice: non hai bisogno del permesso di nessuno per amarti. Racconta della possibilit­à di amarsi e di accettarsi per quel che si è. Amare se stessi è un percorso lungo e difficile, lo sto imparando grazie all’analisi. Le canzoni le scrivo prima di tutto per me, da sempre».

Racconti.

«La prima l’ho scritta a 13 anni e mi ha permesso di esprimere tutta la sofferenza che stavo vivendo durante la separazion­e tumultuosa dei miei genitori, si chiama Slay Tilling».

È stato allora che ha deciso di fare il musicista?

«Sì, ho avuto la fortuna di capirlo molto presto. La passione me l’aveva trasmessa mio padre, che suonava in una band ma a cui non fu permesso dalla famiglia di tentare la carriera nella musica. Io invece ho frequentat­o il conservato­rio, che poi ho abbandonat­o, e il centro sperimenta­le di Roma, corso di musica per cinema».

Perché ha abbandonat­o il conservato­rio?

«Avevo 15 anni, mi ero iscritto con l’idea di contaminar­e le mie canzoni pop con la musica classica, ma al Santa Cecilia un insegnante molto conservato­re mi osteggiava e mi diceva di lasciar perdere, che non ero portato. Ho mollato tutto, per un anno non ho toccato il pianoforte».

Invece poi la musica è diventata il suo mestiere.

«Sì, ho scoperto che quel professore amava denigrare tutti. Alla fine mi ha dato la carica per affrontare gli ostacoli con maggiore decisione e maggior senso critico. E oggi mi considero molto fortunato perché passo la vita a fare ciò che amo».

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Bomber con profili elastici e fodera in fantasia tartan, Baracuta. T-shirt stampata e pantaloni PRO in denim elasticizz­ato, Freddy.
 ??  ?? A sinistra: felpa con cappuccio e T-shirt in jersey, realizzate in collaboraz­ione con l’artista Romero Britto; pantaloni e stivaletti ultralegge­ri, Freddy. Sopra: bomber con collo montante, Baracuta. Maglietta stampata, Freddy.
A sinistra: felpa con cappuccio e T-shirt in jersey, realizzate in collaboraz­ione con l’artista Romero Britto; pantaloni e stivaletti ultralegge­ri, Freddy. Sopra: bomber con collo montante, Baracuta. Maglietta stampata, Freddy.
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