QUESTIONE DI TEMPO
Ha saltato i Mondiali di Cortina a causa di un infortunio, ha bruciato le tappe del recupero e si è aggiudicata la Coppa del mondo di discesa libera: l’eterna sfida di SOFIA GOGGIA con il cronometro passa dalle cicatrici (anche dell’anima) e dall’inestricabile paradosso della velocità
Una mattina, ogni quattro anni. O meglio: un minuto e mezzo circa, ogni 1.460 giorni. Instantanea e crudele, una gara olimpica di sci alpino spacca in due la concezione di tempo. Da una parte la costanza dell’allenamento, paziente e meticoloso, dall’altra l’esplosività della prestazione, repentina e inderogabile. Ore di lavoro, insomma, per migliorare di pochi centesimi. Nove, per l’esattezza, sono quelli che hanno permesso a Sofia Goggia di aggiudicarsi la medaglia d’oro a Pyeongchang 2018: meno di un battito di ciglia. «La velocità te la crei nella lentezza», afferma la campionessa, rientrata dopo l’infortunio che l’ha esclusa dai Mondiali di Cortina e fresca vincitrice della Coppa di discesa libera. «È un binomio all’apparenza contrastante: più tempo dedichi alla costruzione della performance, prima fermerai il cronometro».
Lontana dalle piste, invece, qual è il suo ritmo?
«Ho una vita frenetica: mi sveglio la mattina alle 6 per andare a correre nel bosco, poi ho quasi sempre impegni fino a sera. Anche nei giorni che dovrebbero essere liberi. Riesco a rallentare grazie alla meditazione, alla lettura e al pianoforte».
E il suo rapporto con la moda, quanto è cambiato con lo scorrere del tempo?
«Diventando donna, anche il look evolve. Ho iniziato un percorso con Falconeri e mi sono innamorata del cashmere ultralight, lo sento mio. Poi adoro i capi in pelle e i cappotti lunghi: quando devo fare la valigia è sempre un dramma, sto via quattro giorni e porto outfit per un mese».
Durante il lockdown ha dovuto frenare, come tutti. Che effetto le ha fatto?
«È stato un tempo zero, una sorta di sospensione: per la prima volta ho vissuto senza programmi, ferma nel mio appartamento. Sono riuscita a farmi il caffè con la mia moka per 50 giorni di fila, un’esperienza inedita considerato che sono sempre in viaggio».
Con tutti questi spostamenti, c’è spazio per la stabilità, magari attraverso una relazione?
«Devi avere la fortuna di trovare una persona in grado di capire la vita di una sciatrice, fare progetti è complicato. Non resti mai a lungo nello stesso posto, la “casa” devi trovarla in te stesso. Perché poi la vera sfida è presentarti al cancelletto di partenza e non farti destabilizzare troppo dai conflitti interiori».
Il tempo, passando, a volte lascia un segno: ha delle cicatrici che le fanno particolarmente male?
«Ho uno sbrego sul braccio che non mi piace, seppure mi ricordi che sono riuscita a superare un periodo complicato. Più dolorose sono le ferite dell’anima, quelle invisibili agli altri: ne porto dentro una, per fortuna ben rimarginata. D’altronde siamo esseri umani e viviamo di relazioni».
Il suo tempo futuro, invece, come se lo immagina?
«Ho passioni trasversali, valuterò a fine carriera. Mi piacerebbe fare qualcosa per questo Paese, riformare il sistema scuola-sport. Per adesso però sono concentrata sui prossimi grandi appuntamenti dello sci: i Giochi invernali a Pechino tra un anno, poi un occhio a quelli italiani del 2026».
Già ci pensa?
«Quando mi sono fatta male, lo scorso gennaio, ho avuto il terrore di non riuscire a perdonarmi per quella fatalità. So che Cortina mi è già scappata una volta e alle Olimpiadi italiane voglio arrivarci passo dopo passo: alzando l’asticella e uscendo dalla comfort zone. Poi parlerà il cronometro, l’unico vero giudice».
«In futuro mi piacerebbe fare qualcosa per questo Paese, RIFORMARE IL SISTEMA SCUOLA-SPORT»