Energia e ambiente di Mario Tozzi
Gli ambientalisti «radical chic», il mito della transizione ecologica, i vagheggiamenti sul nucleare. Il dibattito su ENERGIA E AMBIENTE impazza. Ma dimentica sempre di partire dalle verità assodate
Mentre ci riaffacciamo faticosamente alla vita pre Covid-19, non solo scopriamo che non potrà mai necessariamente essere la stessa, ma anche, e dolorosamente, che la crisi ambientale che affligge i sapiens sul pianeta Terra non è sparita e che nessun vaccino la può contenere. La pandemia stessa ha una radice ambientale evidente (come le altre precedenti, Aids compresa) nella deforestazione che precipita in stato di stress pipistrelli carichi di patogeni fino a mettere in scacco quasi otto miliardi di sapiens con tutto il loro apparato tecnologico, mentre loro li sopportano egregiamente. SarsCov-2 ha geni di pipistrello e pangolino malese, ma noi lì, a cercare il colpevole cinese, esattamente come nel XVII secolo si dava colpa della peste alle «vesti comprate o rubate a soldati alemanni» (I promessi sposi). È che, quando il problema dipende da noi, abbiamo sempre bisogno di un nemico «altro» su cui scaricare le nostre colpe e incapacità.
Come per il cambiamento climatico attuale, colpa degli astri o del caso. Oltre il 99% degli scienziati specialisti ha messo in luce che è globale, accelerato e non ha niente a che vedere con quelli del passato, e che dipende dalle attività produttive dei sapiens. L’ultimo rapporto Ipcc usa l’aggettivo «unequivocal» a proposito delle responsabilità dell’uomo e, su 20.000 circa articoli scientifici pubblicati ogni anno sul clima, solo una ventina (20) sono scettici. Ma, allora, perché l’opinione diffusa è che gli scienziati non siano d’accordo fra loro? Perché la differenza la fa la comunicazione, che mette sullo stesso piano chi è scettico e chi non lo è, producendo un danno difficile da rimediare: se nemmeno gli scienziati sono d’accordo, perché dovrei impegnarmi e magari cambiare le mie abitudini? Esattamente l’obiettivo di chi sul cambiamento climatico continua a lucrare per 95 milioni di barili di petrolio estratti ogni giorno.
Ma la situazione è grave, per i viventi, non per il pianeta che, in fondo, del clima che cambia se ne frega allegramente: se facessimo cessare di colpo e contemporaneamente tutte le attività che producono gas clima alteranti al mondo, ci vorrebbe mezzo secolo perché la temperatura dell’atmosfera non continui a crescere. Come ci vogliono centinaia di metri per fermare un tir lanciato a tutta velocità in discesa. Ogni tanto qualcuno se ne accorge ma, invece di mettere in atto azioni concrete e immediate, propone l’ennesima ricetta del secolo, tecnologica, ovviamente, come se
la risoluzione dei problemi non fosse, invece, culturale, dovendo incorporare l’idea di limite nei nostri orizzonti, a partire da quelli economici. Come sia possibile inseguire Pil sempre in crescita su un pianeta le cui risorse sono limitate per definizione è follia tipica degli economisti ignoranti di scienze naturali: non esiste un’economia sana se non ha alle spalle una biosfera sana, proprio quella che rischiamo di non ritrovare. Però la colpa è degli ambientalisti, magari radical chic (chissà se ce ne saranno di altro tipo), che lo fanno notare, non di chi non ne vorrebbe sapere dei limiti oggettivi posti dalla natura e ritiene sia possibile un mondo popolato solo dai sapiens, dagli animali allevati e dai manufatti. Oggi, per la prima volta nella storia della Terra, la massa artificiale del costruito (cemento, mattoni, plastiche) ha superato la biomassa, e non è un bene. In questo contesto c’è chi viene folgorato dalla «nuova» energia nucleare. Nuova beninteso, che la vecchia, oltre ad aver provocato due incidenti che la metà bastava, soddisfa meno del 15% dell’energia primaria al mondo: fosse stata davvero la panacea, perché non la si utilizzava di più? Il problema è che non c’è alcuna nuova generazione nucleare di fissione (la quarta è sempre quasi pronta da vent’anni) e non ce ne è nemmeno una di fusione a breve. Che il nucleare costa sempre troppo (10 miliardi per una singola centrale), che ci vogliono dieci anni per costruirne una, che nessuno la vuole sul proprio territorio (e vorrei vedere in quale comune della Lombardia) e che le scorie non sappiamo ancora dove metterle, per non dire di un paio di referendum contrari con percentuali bulgare.
Ma siamo in transizione ecologica, ci avvisano, pure se non si capisce di cosa si tratti nel concreto. Avrei capito meglio riconversione ecologica, quello sì un processo la cui portata dipende dalle azioni degli uomini e che consiste nel riconvertire le attività produttive incrementando posti di lavoro in una logica di economia circolare. Noi, invece, parliamo di transizione, che sembra una dinamica storica dipendente dal destino, dimenticando che è il sistema economico attuale che produce gli scompensi climatici e che è difficile riformarlo senza prima abbatterlo.
E senza renderci conto che ci siamo sviluppati per duecento anni facendo carne di porco dell’ambiente e della forza lavoro di altri popoli, mentre ora pretendiamo che gli emergenti si sviluppino come vogliamo noi, facendogli notare che la Cina contribuisce per il 28% al riscaldamento globale in atto. Dimenticando però che un singolo cittadino statunitense produce circa 20 tonnellate di CO2/anno, contro le sette di un cinese e una circa di un africano. È lo stile di vita dei più ricchi a essere insostenibile, non che gli altri siano troppi. Così fra 30 anni avremo circa 250 milioni di migranti ai nostri confini, per circa l’80% determinati dal cambiamento climatico che ha portato le dune nelle loro case subsahariane o le acque del mare sulle risaie in Pakistan e Bangladesh. Profughi del clima che cambia, i quali dalla rivoluzione economica che ci ha arricchiti non hanno tratto alcun vantaggio, mentre noi stessi gli accolliamo tutti gli svantaggi: geniale, no? E ci lamentiamo pure, se bussano alle nostre porte.
Petrolio, gas, carbone e uranio sono grandi, centralizzati, pericolosi e cari, mentre le rinnovabili sono democratiche, ubique e, soprattutto, gratis. Però la più importante delle scelte energetiche alternative è la maggiore efficienza accoppiata al risparmio: se convertissimo alla migliore tecnologia disponibile i nostri strumenti di uso quotidiano potremmo risparmiare fino al 46% dell’energia nei prossimi 15-20 anni. Il tema dello stile di vita produce un’immediata critica di ritorno al Medioevo e altre amenità simili, ma se non si consuma meno noi per primi, la pena è la perdita di benessere qui, della vita o della libertà altrove e il deterioramento ambientale senza ritorno per tutti.