di Daria Bignardi, Roberto D’Agostino, Paolo Di Paolo, Michele Masneri, Daniela Collu
Molte sono le rivoluzioni che cambiano il mondo ma poche quelle che cambiano gli uomini. Si chiamano allora rivoluzioni mentali, perché capaci di generare una nuova idea di umanità. Con la rivoluzione digitale, i nostri gesti sono cambiati a una velocità sconcertante, non sono più uguali lo spazio e il tempo, il passato e il futuro, la verità e la menzogna, l’individuo e la politica. Oggi basta un tweet per fare a pezzi secoli di cultura. Viaggiamo a fari spenti e nessuno può dire come finirà la tirannia senza freni del «politicamente corretto» (sanificare il linguaggio non porta a soluzioni reali) o l’esasperazione del #MeToo con le sue forme di «psicopolizia» o il fanatismo della «cancel culture», che abbatte statue, inseguendo un’impossibile «bonifica» del passato; atteggiamenti che solo dieci anni fa ci sarebbero sembrati sbagliati. Tutto quello che sta accadendo ha origine dalla mutazione genetica della sinistra liberal, avverte un’inchiesta del settimanale The Economist, con il risultato che «la sinistra rischia di diventare illiberale». La bibbia del liberalismo cita le parole di Milton Friedman, economista reaganiano premio Nobel, non proprio un riferimento della sinistra: «La società che mette l’eguaglianza prima della libertà finirà per non avere né l’una né l’altra». Donald Trump e i suoi emuli populisti, che hanno fatto di aggressività, intolleranza e scorrettezza una bandiera, sono stati solo la risposta all’ «illiberalismo democratico». E non è un caso che dopo otto anni di Casa Bianca di Barack Obama sia arrivato alla presidenza un pagliaccio come Donald Trump. Uno dei motivi per cui il ceto medio e la working class votò un miliardario truffaldino anziché la democratica politicamente corretta Hillary Clinton fu il gran fastidio verso una sinistra che, invece di occuparsi del lavoro e delle condizioni di vita di un ceto medio fatto a pezzi dalla dura crisi economica del 2008, si trastullava con il politicamente corretto, l’abitudine alla gogna pubblica per le opinioni diverse e l’attenzione sempre più ossessiva su come trattare questioni razziali, di gender, di religione. Per fare un esempio, nel movimento trans è considerato offensivo sentir parlare di «sesso biologico», perché per loro il genere è una scelta, distinta dalla biologia. E all’interno di Black Lives Matter c’è chi va oltre la denuncia delle violenze, chiedendo spazi di autonomia politica dove la partecipazione è determinata dal colore della pelle. Insomma: non ogni presa di posizione di gruppi progressisti o presunti tali è compatibile con i principi della democrazia. Non tutti gli attivisti hanno ragione e comunque bisogna sempre sapersi confrontare. Il risultato è che la politica e la cultura del mondo occidentale, oggi, sono divise fra due opposte versioni di illiberalismo, una di destra e una di sinistra.