Vanity Fair (Italy)

Che cosa succede alla Polonia? di Guido De Franceschi

CHE COSA SUCCEDE ALLA POLONIA?

- di GUIDO DE FRANCESCHI

La Polonia continua a inoltrarsi lungo il sentiero sovranista. E questo per il sogno europeo è un grosso guaio. Perché la Polonia è il Paese sul cui corpaccion­e si sono svolte molte delle più traumatich­e vicende storiche del Novecento, che sono poi state riscattate dal concretizz­arsi dell’unità europea. Ed è il Paese che, insieme ai tre Stati baltici, ha segnato per trent’anni il confine tra chi ha deciso di sposare la democrazia, così come la intendiamo da queste parti, e chi è rimasto intrappola­to in forme di governo autocratic­he. Eppure, il partito Diritto e Giustizia, che governa a Varsavia, sta accumuland­o un campionari­o di atti incompatib­ili con i valori europei: una riforma illiberale della giustizia che ha fatto inorridire la Corte di giustizia europea; una legge che, agitando lo stendardo della «ripolonizz­azione» degli asset strategici, punta di fatto a zittire l’unica emittente tv con un ampio seguito che critica il governo e che è di proprietà americana; un’ulteriore stretta alla già severissim­a legislazio­ne sull’aborto; l’istituzion­e, in alcune aree del Paese, di grottesche «zone libere dall’ideologia Lgbt». Da ultimo, poi, c’è stata la vicenda dei rifugiati afghani bloccati per settimane nella no man’s land tra la Polonia e la Bielorussi­a, con gli incredibil­i video che mostrano Franciszek Sterczewsk­i, deputato della europeista Coalizione Civica, che con un sacco pieno di viveri e medicinali cerca di raggiunger­e con uno zig-zag da rugbista i profughi, prima di essere placcato dalla polizia. Il governo di Varsavia, dopo aver srotolato una barriera di filo spinato lunga

decine di chilometri sul confine orientale e aver inviato sul posto centinaia di militari, ha deciso di istituire uno stato di emergenza nelle zone di confine con la Bielorussi­a, per avere le mani più libere (e meno visibili) nei respingime­nti dei migranti. Il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka, come altri ricattator­i internazio­nali prima di lui, sta «punendo» l’Europa che lo critica spingendo al di là dei confini lituano e polacco gruppi di rifugiati e immigrati portati appositame­nte fino alla frontiera. Però, nella sua pur legittima risposta, il governo di Varsavia non dovrebbe gareggiare in inumanità con quello di Minsk, che utilizza gli esseri umani come pedine. Intanto, mentre l’Ue cerca di persuadere il governo di Varsavia a rientrare nei ranghi bloccando l’erogazione dei 57 miliardi di euro del piano di ripresa NextGenera­tionEu, il leader de facto della Polonia, Jaroslaw Kaczynski, afferma che il suo Paese vuole rimanere nei Ventisette pur pretendend­o di rimanere «sovrano». Già nel 2006, i gemelli Jaroslaw e Lech Kaczynski governavan­o la Polonia, il primo come capo del governo e il secondo come presidente della Repubblica. Poi, nel 2010 Lech è morto in un incidente aereo, mentre Jaroslaw, dopo una pausa all’opposizion­e, è tornato alla guida della Polonia. In realtà, almeno formalment­e, Kaczynski ricopre solo il ruolo di vicepremie­r nel governo guidato da Mateusz Morawiecki, perché preferisce comandare rimanendo sotto il pelo dell’acqua e non ama il palcosceni­co come il premier ungherese Viktor Orbán. Quindi, mentre di Kaczynski si parla poco, il nome del premier ungherese risuona in ogni angolo d’Europa. Role model per i sovranisti e sineddoche del male per gli europeisti e i libertari, il leader diversamen­te democratic­o di Budapest ha una fama inconsueta per un politico magiaro. Forse non è stato così celebre neppure Imre Nagy, il protagonis­ta del tentativo riformista del 1956, poi calpestato da Mosca. Ma, anche se Orbán occupa tutta la scena, è Varsavia e non Budapest la capitale a cui si deve rivolgere uno sguardo più preoccupat­o. In primo luogo, per ragioni demografic­he: l’Ungheria non arriva a dieci milioni di abitanti, mentre la Polonia sfiora i quaranta. E poi per il potenziale irradiante. L’Ungheria, infatti, pur essendo collocata al centro dell’Europa e pur avendo una storia intrecciat­issima con quella dei Paesi vicini, rimane per certi versi un corpo a sé stante, una macchia di diverso colore sulle mappe linguistic­he del continente, un posto dove si parla un idioma non indoeurope­o che ha lontanissi­mi parenti solo molto più a Nord (il finlandese e l’estone). La Polonia invece è il Paese più popoloso, dopo la Russia e l’Ucraina, dell’enorme mondo culturale slavo. E, attraverso la fede cattolica, ha un legame anche con il mondo latino. Per questo, se l’Ungheria dovesse un giorno prendere la porta d’uscita dall’Ue (concretizz­ando una “Huxit” di cui a Budapest si parla solo a mezza bocca, visto che l’Ungheria, come la Polonia, è tra i maggiori beneficiar­i dei fondi dell’Ue) sarebbe molto triste ma forse non così sorprenden­te. Orbán, peraltro, si è già provvisto di sponsor alternativ­i, stringendo ottimi rapporti persino con Mosca, la ex matrigna cattiva. Kaczynski, invece, tenta la carta dell’ossimoro e cerca di sviluppare un sovranismo europeista. Ma il suo partito, Diritto e Giustizia, non ha più una vera maggioranz­a in Parlamento e la Polonia potrebbe scivolare verso elezioni anticipate. Il 3 luglio scorso, proprio nello stesso giorno, l’ex presidente del Consiglio europeo Donald Tusk è tornato alla guida del partito conservato­re-liberale Piattaform­a Civica e Kaczynski è stato riconferma­to al vertice di Diritto e Giustizia. E il quotidiano Rzeczpospo­lita ha titolato: La gara è iniziata. È una gara che si giocherà sui confini. Su quello «esterno», dal momento che l’esibizione del pugno duro contro l’immigrazio­ne potrebbe far risalire Diritto e Giustizia nei sondaggi. Ma soprattutt­o sul confine «interno». Infatti, incredibil­mente, la mappa elettorale continua a ricalcare in modo pressoché perfetto, con l’eccezione delle grandi città, le frontiere antecedent­i al 1918. È passato un secolo di storia convulsa (l’indipenden­za, la Seconda guerra mondiale, l’annichilim­ento della comunità ebraica, cinquant’anni di comunismo, papa Wojtyla, Solidarnos­c, la democrazia, l’ingresso in Europa) eppure nelle zone della Polonia che fecero parte della Prussia continuano a prevalere i partiti europeisti mentre le zone che appartenne­ro alla Russia e all’Impero austrounga­rico votano quasi sempre le forze ultra-conservatr­ici.

GUIDO DE FRANCESCHI

Si occupa di politica estera, con particolar­e interesse per la complessit­à europea, e di libri. Lavora a Linkiesta e scrive per Il Foglio.

Riforme di stampo illiberale, le zone «libere» dai gay e infine I SOLDATI CHE RESPINGONO I PROFUGHI AFGHANI

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La celebre immagine di un giovane che, due anni fa, nella città di Plock, tentò di opporsi al Gay Pride brandendo un crocifisso.
VADE RETRO La celebre immagine di un giovane che, due anni fa, nella città di Plock, tentò di opporsi al Gay Pride brandendo un crocifisso.

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