Vanity Fair (Italy)

di Francesco Bonami

- di FRANCESCO BONAMI

Nel 2017, alla Biennale dA’ rte di Venezia, chi entrava dentro al padiglione della Germania provava il brivido del rischio di essere sbranato da dei dobermann che ringhiavan­o agli spettatori fortunatam­ente separati da loro da una parete di vetro. Questa situazione comprendev­a, assieme ai cani, anche delle persone che si dedicavano a diverse attività motorie che nel gergo dell’arte contempora­nea si chiamano performanc­e. Il tutto era Faust, l’opera di Anne Imhof, vincitrice del Leone d’oro per la migliore partecipaz­ione nazionale. La Imhof è una delle artiste più gettonate del momento, una di quelle artiste che, come il famoso compositor­e Richard Wagner, sono definite «totali»: non c’è attività artistica che la Imhof non affronti con decisione. Musica, pittura, scultura, architettu­ra e, appunto, performanc­e. Il Palais de Tokyo a Parigi ha dato carta bianca all’artista tedesca per fare quello che voleva: lei ha costruito una gigantesca e industrial­e natura morta, titolo della mostra. Che la natura sia morta purtroppo lo iniziamo a sospettare tutti, ma questa brava ragazza lo sottolinea con una potenza inaudita aiutata dalla sua musa ispiratric­e, l’artista Eliza Douglas, (sopra) protagonis­ta di molti suoi video e compositri­ce della musica di molte sue opere. A Parigi Imhof ha ricostruit­o le rovine di una fabbrica abbandonat­a che aveva visto a Torino e le era piaciuta così tanto da smontarla per farla diventare la scenografi­a di una visione apocalitti­ca del mondo, dove a sopravvive­re sono pochi personaggi androgini, a metà fra esseri umani e le fronde di una foresta mosse dal vento. Il tutto non è certo ottimista ma sicurament­e profondo e magico. D’altronde una delle canzoni preferite di Anna Imhof è When the Party’s Over di Billie Eilish. Visto le condizioni del nostro pianeta in effetti c’è poco da festeggiar­e.

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